lunedì 24 gennaio 2011

Unbundling windows (la via italiana)

Avevo già scritto qualcosa sull'argomento tempo fa.

C'erano già state azioni legali individuali in Italia, come pure in Francia e in diversi altri paesi, con Microsoft per la pratica, posta in essere di concerto con i principali produttori di computers mondiali,  di legare (a quanto pare) inscindibilmente il proprio sistema operativo a quasi ogni nuovo computer prodotto.

La questione aveva anche attratto l'attenzione dell'autorità antitrust della Federazione Russa.

Ora in Italia, un'associazione di consumatori ha deciso di tentare la via della "class action" per ottenere che Microsoft renda effettivo il diritto di comprare un personal computer senza sistema operativo Windows e di riavere indietro i soldi della licenza quando - come pressochè sempre accade - il computer esce dalla fabbrica con il sistema operativo già caricato.

Avrà successo la class action e, soprattutto, nel val la pena fino a tanto che Microsoft offre rimborsi di circa 30 euro nei (rari ) casi in cui un consumatore riesce a giungere al termine della complicata procedura per rinunciare alla immancabile licenza?

La questione però tocca un punto centrale nella formula del successo  di Microsoft, che è inscindibilmente legato alla santa alleanza con i produttori di personal computer, che ha senz'altro contribuito a far sì che oltre il 90% dei computer mondiali esca dalla fabbrica con Windows a bordo ....

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stesso

mercoledì 5 gennaio 2011

Il fumo atomico

Il nucleare è un argomento fortemente emotivo.

Possiamo metterla come vogliamo, ma le immagini della forza devastante del nucleare (non solo le immagini di Chernobyl, ma anche - specie per le generazioni che hanno vissuto, anche brevemente, la “guerra fredda”- quelle di Hiroshima e persino le vecchie immagini dell'atollo di Bikini con il famoso 'fungo atomico'), sono entrate in modo prepotente nell'immaginario collettivo di tutti noi.

E in Italia, sul nucleare si sta giocando sporco.

L'Italia vive, in materia di nucleare un profondo senso di colpa. Nel 1987 sono stati votati – a larga maggioranza – tre referendum contro l'intervento pubblico nel settore nucleare e da allora nella coscienza degli italiani ha cominciato ad insinuarsi (o ad essere insinuato?) il dubbio che il referendum fossero il frutto di una scelta emotiva, antistorica e in fondo sbagliata. Il dubbio che forse si fosse buttato via il bambino con l'acqua sporca, che mentre in Italia si vietava, all'estero si sviluppava il nucleare con grandi benefici per tutti …

E' così?

Mah, ci sarebbe bisogno di un sereno dibattito, ma il problema è che l'argomento del nucleare, oltre ad essere un argomento emotivo (o forse proprio perchè è un argomento emotivo), è diventato un argomento di propaganda politica.

E non giova alla serenità della discussione il disinteresse interessato di campagne (dal costo, pare, di circa 6 milioni di euro) come quella promossa da www.forumnucleare.it, un'associazione che vede tra i soci sostenitori- guarda caso - sia ENEL che EDF (le compagnie energetiche pubbliche di Italia e Francia).

Per giungere ad una posizione ci vorrebbe l'aiuto di un esperto (possibilmente disinteressato …), ma secondo me può essere comunque utile evidenziare alcuni elementi, non così difficili da reperire , che possono aiutare ad affrontare (e secondo me a superare) il “senso di colpa” e a sfatare alcuni “miti” ben radicati nella coscienza collettiva.

Il primo mito è quello secondo il quale la scelta italiana sarebbe stata antistorica e in controtendenza con gli altri principali paesi. Falso: nel 1987 il nucleare ha subito uno stop in tutto il mondo. I dati della produzione nucleare statunitense sono inequivocabili: tutte le centrali nucleari attualmente in funzione derivano da progetti iniziati prima del 1987

In proposito, il grafico che segue, tratto da wikipedia, è assolutamente esaustivo.



Ad oggi, in tutto il mondo le nuove centrali in costruzione sono in grandissima maggioranza in Cina, India e paesi ex Urss (su 65 centrali in costruzione, solo 2 sono in costruzione in Francia e USA – dove devono tra l'altro affrontare l'obsolescenza del parco installato – 2 in Giappone, 4 in Corea del Sud, contro 11 in Russia, 6 in India e 26 in Cina. Tra gli outsider si notano: 1 in Pakistan, 1 in Iran ...). 

In effetti, proprio dai dati dalla produzione americana (dove l'energia nucleare è prodotta da compagnie private e non vi è stato alcun referendum), sembra proprio emergere uno scenario secondo il quale i due choc nucleari (l'incidente rischiato di Three Mile Island e quello purtroppo avvenuto di Chernobil) abbiano in effetti raffreddato l'interesse dell'economia (e non della politica …) verso il nucleare. Un raffreddamento che – nei paesi con economia di mercato (e senza volontà di potenza, come alcuni paesi dell'ex blocco dell'est, oltre a Pakistan e Iran dove la corsa al nucleare è continuata) – dura da trent'anni, salva una debole ripresa dell'ultimissimo periodo.

Il secondo mito da sfatare è (come segnala Chicco Testa, a suo tempo promotore dei referendum e ora passato ai 'nuclearisti') il fatto che i referendum abbiano vietato il nucleare in Italia. Non è affatto così: i referendum hanno abrogato: (primo quesito) norme che consentivano di costruire centrali nucleari anche senza il consenso dei comuni e delle regioni; (secondo quesito) norme che prevedevano finanziamenti alle regioni che accettavano centrali nucleari e (terzo quesito) norme che consentivano all'ENEL di partecipare alla realizzazione e all'esercizio di centrali nucleari all'estero.


Tra l'altro nessuna delle abrogazioni disposte dal referendum fu in pratica rispettata. Copio e incollo dal sito newclear.it (il blog dei 'nuclearisti'): -  -

... quei tre quesiti sono stati superati dalla storia. Il potere sostitutivo del Cipe ancora esiste, ed è stato addirittura introdotto nella Carta costituzionale con la riforma del titolo quinto del 2001. L’erogazione dei contributi ai territori che ospitano impianti termoelettrici è proseguita nonostante l’esito referendario. E il divieto per l’Enel di assumere partecipazioni all’estero nel settore nucleare è decaduto con la privatizzazione dell’azienda. Questo consente all’Enel di svolgere all’estero attività legate al nucleare...“

E allora perchè sono state chiuse?

Non certo in forza del referendum, anche tenuto conto che Caorso, l'unica centrale veramente operativa, fu chiusa quasi 3 anni dopo, nel 1990.

Il terzo mito è che il nucleare dia l'indipendenza energetica dall'estero.

Sotto questo aspetto vanno tenuti presente due aspetti:

  1. il nucleare si presta bene a produrre una “base” di energia, ma le centrali non possono essere spente tanto facilmente e resta sempre il problema dei picchi di energia (ce l'hanno anche i francesi);
  2. la tecnologia nucleare e la materia prima (l'uranio) vanno comprati dall'estero e a costi non indifferenti, né facilmente quantificabili a priori.

Soprattutto il secondo punto fa si che l'indipendenza dall'estero possa risultare più apparente che reale.

La tecnologia nucleare si è infatti sviluppata da tempo al traino degli investimenti militari e non è un caso che i paesi leader nelle relative tecnologie (USA, Russia, Francia e ora Cina) siano tutte superpotenze nucleari. In tutti questi paesi l'investimento pubblico è stato fortissimo già dall'immediato dopoguerra, con chiari obiettivi politici e militari (un esempio è stato la Francia che ha sempre avuto l'obiettivo di dotarsi di una forza militare che la rendesse indipendente anche dalla NATO). Le relazioni tra investimenti pubblici (militari) e costo del nucleare sono state chiaramente spiegate da un esperto – Carlo Rubbia – in questo intervento televisivo.


L'Italia questi interventi pubblici non li ha mai avuti (quanto meno non nella misura della Francia e delle altre superpotenze) perchè l'obiettivo di fare dell'Italia una potenza nucleare non è mai entrato nell'agenda politica.

Inoltre l'uranio è un minerale che – almeno ad oggi – si trova solo in pochi posti nel mondo e – a fronte degli ingenti investimenti necessari per acquisire una capacità nucleare - è difficile avere certezza di avere un rifornimento costante nel tempo in termini di qualità e prezzi (negli ultimi anni – nonostante il forte afflusso di uranio militare derivante dalle testate atomiche smantellate – il prezzo dell'uranio è in forte aumento …).

Mancanza di tecnologia e mancanza di accesso al minerale, rendono così necessario associarsi ai programmi di un paese straniero (nel nostro caso la scelta è caduta sulla Francia e quindi su EDF …), assumendosi i relativi costi, ma senza poterne assumere il controllo, e così anche il sogno dell'indipendenza dall'estero rischia di rimanere – appunto – un sogno.

Tutto ciò premesso e anche senza bisogno di prendere in considerazione il problema di trovare siti nucleari in un pase in cui le zone più adatte -ossia on sismiche e ricche di acqua dolce) sono anche tra le più densamente popolate d'Europa o i problemi dello smaltimento delle scorie radioattive, la scelta di tornare o meno al nucleare è una scelta difficile   che non va fatta sulla scorta dell'emotività e dello spirito di revache (magari anche solo di matrice politica...).

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