venerdì 31 dicembre 2010

Buon anno!



Questo video ha contribuito a risolvere uno dei dubbi più esistenziali che mi assillavano: a che servono le sciabole da sommelier che alcuni rinomati negozi di articoli da casa e da regalo espongono in questi giorni in vetrina? A che potevano servire le sciabole da granatiere che non è difficile trovare esposte da un brocante francese?

Ad aprire, le bottiglie da champagne! Ma è ovvio ....

La pratica si chiama "sabrage", che pare sia stata resa di moda nientemeno che da Napoleone Bonaparte e consiste nell'aprire la bottiglia di champagne con un colpo di sciabola.

In pratica si sfrutta la tensione alla quale è sottoposta la bottiglia a causa della notevole pressione interna, per cui un colpo secco con il dorso della lama è sufficiente a far saltare di netto il tappo con l'anello di vetro che lo circonda e senza provocare schegge. Se si è abbastanza bravi, si può tentare, come nel video, con il bordo del bicchiere stesso.

Cin cin!

giovedì 23 dicembre 2010

Il Natale dei tempi che corrono .....


Non se è il lavoro, il tempo o la combinazione di tutti e due, ma mi sento un po' come il Babbo Natale nella foto ...

Bah ... Se sopravviverò alle mangiate dei prossimi giorni, magari tornerò a scrivere qualcosa di più intelligente.

Nel frattempo: Buon natale!

giovedì 9 dicembre 2010

L'idraulico polacco

Ricordate il mito dell'idraulico polacco, l'immigrato che, con la sua disponibilità all'immigrazione e al lavoro a basso costo minacciava il benessere di paesi ricchi d'europa?

Era il 2005 e l'idraulico polacco in francia era il simbolo stesso della globalizzazione che minacciava redditi degli artigiani e lavoratori nostrani.

E adesso?
Adesso tempo proprio che le cose siano drasticamente cambiate.

I redditi si sono in effetti ridotti, ma soprattutto è crollata l'economia (e certo non solo per colpa dell'idraulico polacco ....) e in europa si sono ormai invertiti i flussi migratori. Ora si migra verso la Polonia e non solo dai paesi più poveri, ma anche da paesi ricchi come la germania ...

Ora la Polonia è il paese europeo che cresce di più e la spinta dei consumi (che lì crescono, non come da noi ...) fanno correre l'economia.

Sic transit gloria mundi.

giovedì 2 dicembre 2010

Buoni a nulla, capaci di tutto



Chiariamo subito un punto: il titolo non si riferisce direttamente alle capacità più o meno pronunciate dei personaggi ritratti nella foto.


I soggetti ritratti nella foto probabilmente li conoscete. Si tratta di: Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, Mussari, presidente dell'ABI e Marchionne, amministratore delegato di FIAT.


Senz'altro tra le persone di maggior successo (e tra le più potenti) in Italia.


E che hanno in comune questi tre signori?


Sono tre laureati in legge.


Tre avvocati? No, assolutamente no. Forse due di loro (Mussari e Marchionne), in gioventù, hanno anche fatto l'avvocato, ma ora fanno altro e fanno bene.


Eppure quando studi legge, subito ti dicono “vuoi fare l'avvocato?” e il nomignolo di avvocato ti accompagna già dall'università.


E in effetti una laurea in legge non ti da gli elementi fondamentali per occuparti dell'amministrazione di una società e, in quest'ottica, un laureato in legge, per un'azienda, è – se non ai limitati fini dell'ufficio legale interno (quando c'è) – un “buono a nulla”.


Eppure lo studio della legge è una scuola dura, che diventa sempre più dura dopo, quando la sola conoscenza tecnica acquisita all'università non serve assolutamente a nulla senza una profonda conoscenza dei bisogni (e del lavoro) degli altri (ossia dei tuoi “clienti” interni).


E' anche così che qualche volta emerge qualcuno che risulta “capace di tutto”. Resta da vedere se questi tre personaggi avrebbero avuto analoga carriera se si fossero incamminati lungo il percorso dell'avvocatura, ma lasciatemi pensare che magari non sarebbe successo.

domenica 14 novembre 2010

Ebook? No grazie

Natale si avvicina e con essa la scelta dei regali. Quest'anno stavo pensando se (farmi) regalare un ebook reader.
Ci ho pensato per bene perchè è un aggeggio che mi manca ed essendo io un lettore accanito, la cosa mi interessava: un ebook reader può semplificare la gestione della biblioteca (a casa ho ormai più di 1000 libri …) e alcune funzioni, come il “text to speech” (la capacità dell'ebook di “leggere” il testo) possono prestarsi ad applicazioni interessanti (per chi come me ha molta dimestichezza con l'inglese scritto, ma poca con il parlato, può essere utile per aumentare la comprensione della lingua parlata).

Tutto sommato preferisco evitare di comprami l'ennesimo gadget che alla fine ha un uso solo (consentire la lettura di libri, che si leggono benissimo anche su carta …) e semmai aspettare che scendano di prezzo – o aumentino decisamente le prestazioni – i vari tablet (iPad, Samsung GalaxyTab) in modo da procurarmi un apparecchio davvero multifunzione, che all'occorrenza consenta di sostituire anche un pc.
Quali sono gli aspetti che trovo limitanti per un ebook reader?
Ha una funzione sola: leggere libri, che può essere egregiamente assolta dai libri tradizionali (e non tutti gli ebook reader hanno una funzione “text to speech”) …. Di regola non sono neppure dotati di browser per navigare in intenet, né sono in grado di fungere da p.c., nemmeno in inviare e-mail, né da semplice navigatore, come un comune smartphone.

Le batterie durano spesso poche ore (da nuove) e in moltissimi modelli possono essere cambiate solo dall'assistenza (un'altra spesa ...). Considerando che un'ora o due di lettura al giorno per un pendolare non sono infrequenti e che la capacità delle batterie decade con l'uso, si rischia di trovarsi presto con l'ebook reader in carica tutte le sere o quasi. Se poi il viaggio è lungo, la durata massima delle batterie potrebbe non bastare neppure ...

Semplicità d'uso: il libro cartaceo è di una semplicità proverbiale. Con gli ebook devi cominciare a valutare se l'ebook è compatibile con il tuo lettore e comunque gli ebook sono protetti da sistemi DRM che possono dare altri problemi di uso e compatibilità …

Durata: un libro dura per sempre, un ebook teoricamente anche, ma in pratica nessuno può garantire per quanto tempo una tecnologia sarà supportata in futuro. Già adesso ci sono formati di file che andavano per la maggiore solo 15 anni fa che ora sono illeggibili ...

Facoltà d'uso: il libro è mio e lo posso prestare e vendere (sono protetto dalle interferenze da parte dell'editore dall'istituto dell' “esaurimento del diritto: art.17, comma 2, l.633/1941), che non si applica ai file scaricati da internet, (art. 17, comma 3, l.633/1941) come gli ebook, con la conseguenza che l'editore può legittimamente licenziare l'ebook solo per un lettore e impedirne l'ulteriore circolazione (a meno di vendere o prestare anche il reader) …

Prezzo: un ebook reader costa attorno ai 150/200 euro, mentre gli ebook, specie relativi a titoli di cassetta, costano forse solo un 15% meno dei libri tradizionali (ma in molti casi ho visto prezzi tra i 9 e gli 11 euro anche per titoli ormai reperibili anche come paperbacks) ….

E chi me lo fa fare di spendere soldi per una tecnologia così?

giovedì 4 novembre 2010

La guerra bianca

Il 4 novembre è la "festa della Vittoria". E' anche il termine di una delle fasi più laceranti della storia italiana: l' "inutile strage" di Benedetto XV, forse ancora più lacerante della pur più cruenta seconda guerra mondiale.

Altro che vittoria. Quella guerra non segnò per l'Italia solo la fine dello stato liberale (oltre che di centinaia di migliaia di vite: ai 600.000 caduti militari, bisogna aggiungere le migliaia di morti civili  - più di 300.000 -  causati dall'epidemia di "spagnola"   che nel 1918 infierì duramente su una popolazione già stremata dalle privazioni della guerra) ma anche l'inizio di una fase di crisi prima e di dittatura poi che ci portò - nel 1940 - ad una nuova e più distruttiva guerra.

La prima guerra Mondiale è anche una delle fasi della storia d'Italia che - già da ragazzino - mi ha maggiormente interessato, tanto che ricordo che la mia tesina di storia all'esame di terza media riguardava proprio le origini del conflitto.

Visto che ragazzino lo sono ancora, in questi anni ho letto molti libri sulla prima guerra mandiale, e da ultimo, "La Guerra Bianca" di Mark Thompson, raro esempio di un libro sulla guerra sul fronte italiano scritto da un autore straniero.

Libro interessante, più che per gli eventi più propriamente militari, per gli approfondimenti sugli aspetti di cultura e costume dell'epoca: un'Italia caratterizzata da una distanza estrema tra la politica e la gente, dalla disciplina assurda nei confronti dei  soldati semplice (che morivano come le mosche in attacchi totalmente insensati) e della totale irresponsabilità dei comandi pur di fronte ai reiterati fallimenti.

In tutta Europa (nonostante le avvisaglie che già si rinvenivano negli ultimi conflitti, come la guerra Anglo-Boera e - in particolare - quella Russo-Giapponese del 1908) i paesi furono presi di sorpresa dalla violenza e dalla peculiare disumanità del conflitto. In pochi paesi (forse solo nella Russia zarista), si ebbe come in Italia una preconcetta e stolida contrapposizione tra il comando e l'esercito, che bloccò ogni innovazione e portò inevitabilmente alla sconfitta di Caporetto (e al correlativo mito dello "sciopero militare", inventato per ribadire l'italica convinzione della responsabilità esclusiva del 'fante').

Un'Italia lontana e vicina allo stesso tempo.


mercoledì 27 ottobre 2010

Nimiae formae tuendi cognitionem

Dall'enciclica "Caritates in veritate" di Benedetto XVI:
"Sunt enim nimiae formae tuendi cognitionem ex parte Nationum divitum per nimis severam iuris proprietatis intellectualis applicationem, praesertim in ambitu sanitatis"

Ossia: "Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario".

Beh, è segno dei tempi che anche la Chiesa Cattolica si debba occupare (e preoccupare)  di proprietà intellettuale.

E il problema della limitazione della diffusione di medicine essenziali determinato dal livello insostenibile del costo delle royalties da pagare alle case farmaceutiche pone con forza il problema della difficile compatibilità della proprietà intellettuale e dei suoi costi con il progresso e il benessere comune.
Si suole dire che la proprietà intellettuale favorisca la conoscenza, ma è di tutta evidenza che il costo e le limitazioni della circolazioni della conoscenza imposte  dall'invenzione della proprietà intellettuale non sono di poco conto. E' pure evidente che la  proprietà intellettuale molto spesso non favorisce gli interessi degli autori e inventori (persone fisiche), che non partecipano all'accumulo della ricchezza, spesso patrimonio esclusivo di grandi società.

Ma è poi vero che - come si suole ripetere - che la proprietà intellettuale favorisce la ricerca e la diffusione della conoscenza?

Mi sia permesso di dubitarne fortemente. Se ne parla spesso, ma raramente vengono proposti dati ed esperienze, sia pure empiriche.

Anzi, proprio sotto il profilo delle esperienze empiriche e per restare nel campo sanitario, osservo che in Italia i brevetti sulle specialità medicinali sono ammessi dal '78. Prima di tale periodo l'industria farmaceutica italiana era forte (il quinto produttore mondiale e il settimo esportatore). Attaualmente molte case sono cadute in mano straniera e l'industria farmaceutica italiana è del tutto uscita dall'arena internazionale.

giovedì 21 ottobre 2010

Copio e incollo ...

Dalla newsletter di Top Legal:
Tornano i minimi tariffari inderogabili. O meglio, torneranno se legge di riforma della professione forense verrà approvata, nell'attuale formulazione, dal Parlamento.
Ieri, il Senato della Repubblica ha approvato l'articolo 12 della futura legge professionale reintroducendo il concetto della inderogabilità dei minimi, abrogato dal famoso decreto Bersani di fine 2006.
La notizia salutata con giubilo dai vertici della professione forense ci lascia perplessi.
Senza voler essere sterilmente polemici, pensiamo sia utile riflettere su questa decisione del Legislatore in coincidenza con la pubblicazione, da parte del Financial Times, della classifica degli avvocati innovatori (Innovative Lawyers) per il 2010.
Nell'elenco dei primi 50 studi, compaiono solo tre italiani. Nctm, Portolano Colella Cavallo e Assistenza Legale (A.L.) ovvero il network di negozi legali che ha costruito la propria fortuna lavorando proprio sulla formulazione di una politica tariffaria innovativa, lontanissima dalla logica che sottende il concetto dell'inderogabilità dei minimi.
Leggendo la classifica degli studi più innovativi sul fronte dell'efficienza operativa, inoltre, si riscontra che gli studi più elogiati dal Financial Times sono stati proprio quelli che sono riusciti a costruire delle strutture in grado di generare economie a tutto vantaggio delle tasche dei clienti.
L'Italia, in ambito internazionale, continua a muoversi con i paraocchi.
E questo non vale solo per il tema tariffe. Il Financial Times ha stilato una classifica anche per le direzioni affari legali. Anche qui l'Italia è rappresentata al minimo sindacale con Monte dei Paschi di Siena e Ferrero.
In questo caso, se possibile, siamo messi anche peggio. Per il nostro Legislatore, i giuristi d'impresa non sono nemmeno degni di essere considerati avvocati.

domenica 26 settembre 2010

Provaci ancora, Sam ...

La notizia era girata, anche se senza tanta fanfara, qualche giorno fa e aveva appena sfiorato i grandi media nazionali (solo il Giornale mi risulta averla pubblicata).

Telecinco, azienda del Gruppo Mediaset , nel 2008 ha intentato causa a YouTube in Spagna per l'asserita violazione dei propri diritti di proprietà intellettuale a seguito della pubblicazione sulla piattaforma di YouTube (di proprietà di Google) di spezzoni dei propri programmi televisivi.

Più o meno in contemporanea Mediaset stessa aveva adito il tribunale di Roma, denunciando YouTube anche in Italia lamentando la diffusione abusiva ad opera di YouTube dei propri programmi (si trattava in particolare de "Il Grande Fratello") ottenendo un provvedimento che riconosceva la consapevolezza di YouTube della presenza dei contenuti illeciti (e conseguentemente la sua resposabilità) ordinandone la rimozione.

Di segno completamente opposto il tenore della sentenza madrilena, chiara e leggibile (a differenza della sentenza penale italiana sul caso google video ...), nonostante la differenza di lingua.

Nella ricostruzione del giudice spagnolo infatti, né si ravvisa un contenuto attivo di YouTube nel caricamento e diffusione dei contenuti né si può ravvisare una consapevolezza effettiva di YouTube circa i contenuti pubblicati.

Un primo punto interessante è in particolare, quello della esclusione di rilevanza delle operazioni di trattamento (e indicizzazione) automatica eseguite sulla base di input dell'utente. A conclusioni completamente opposte era giunta  la giurisprudenza italiana che (vedi caso The Pirate Bay) ha riconosciuto la rilevanza della mera indicizzazione per escludere l'esclusione di responsabilità che spetterebbe agli 'hosting providers').

E' stata esclusa espressamente ogni rilevanza - ai fini della qualifica di hosting provider e dell'esenzione relativa - anche ai link pubblicitari.
A questo punto, YouTube come si può considerare alla luce della direttiva europea sullo statuto degli Internet Service Providers?

Due tribunali dell'Unione Europea hanno considerato una questione molto simile in maniera opposta.

Resto della mia opinione che intermediari com YouTube sono piuttosto diversi dagli hosting providers, ma in punto di rilevanza delle operazioni tecnica di caricamento e indicizzazione, mi sembra che la pronuncia spagnola  - anche perché successiva - sia forse più coerente con l'impostazione seguita dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 23 marzo 2010 nel caso - solo per alcuni versi simile, peraltro - del servizio AdWords.

domenica 15 agosto 2010

Quale Islam?

Prendo spunto dalle recentissime polemiche scaturite dalle dichiarazioni, di Barack Obama sul progetto di costruire una moschea sul luogo dell'attentato alle Twin Towers, poi subito 'precisate' a seguito delle fortissime polemiche, specie da parte dei repubblicani.

Non è che trovi felicissima l'idea di costruire una moschea sul luogo degli attentati dell'11 settembre (anzi, la trovo una pessima idea),ma mi colpisce il modo di vedere l'Islam (e stiamo parlando di poco più di un miliardo di persone ....)  come un complesso monolitico e tutto ideologicamente schierato contro l'Occidente.

I califfati musulmani sono stati nemici potenti dell'Europa dalla loro nascita (600 c.a d.C) fino all'espansione Ottomana (culminata con l'assedio di Vienna del 1683) e proprio la contrapposizione al comune nemico islamico ha contribuito in modo forte a forgiare un'identità comune europea.

Tuttavia l'atteggiamento di identificare l'Islam con il fondamentalismo (e le con la contrapposizione all'Europa) è, oltre che sbagliata, del tutto antistorica.

Lasciatemi rinviare a questo bellissimo documentario realizzato dall'Enciclopedia Treccani: 



lunedì 26 luglio 2010

Il phishing si fa tecnologico ...

La sicurezza di una catena si misura dal suo anello più debole e, nei sistemi di home banking l'anello più debole è (finora) il cliente ...
In questi anni anche le mail più sgrammaticate hanno mietuto vittime, complici vulnerabilità nei browser, creduloneria della gente ... last but not least, sistemi di autenticazione a volte abbastanza rudimentali ...

Come è stato possibile? Bah, un po' è che molta gente, di fronte ad un pc (ma anche di fronte a molte altre cose che non capisce ..) tende a diventare del tutto acritica e a credere un po' a qualunque cosa, un po' è che molta altra gente alla sicurezza del pc proprio non ci guarda e i phishers hanno avuto buon gioco a mascherare gli indirizzi del loro falso sito, magari sfruttando le debolezze di browsers mai aggiornati ...

Già, gli aggiornamenti di sicurezza: brutto capitolo. Quanti sono gli utenti che usano un pc non aggiornato da anni, magari perchè hanno una copia di photoshop o di office piratata e non vogliono assolutamente rischiare che magari Microsoft dia un'occhiata al loro disco fisso e li scopra (e quindi non attivano mai gli aggiornamenti di sicurezza proposti dal sistema)? Ne conosco parecchi, anche parenti, ma guai a dir loro che sono a rischio ... "ho l'antivirus!", ti rispondono (come se l'antivirus potesse supplire alle magagne di un sistema non aggiornato ...).

Ma è sul piano degli aggiornamenti di sicurezza e della protezione del pc dell'utente che si giocherà una bella fetta della sicurezza delle transazioni bancarie, perchè il phishing si sta facendo tecnologico e sta imboccando la strada dei trojan con soluzioni che - come riportato da Slashdot - sono capaci di aggirare anche evoluti sistemi di autenticazione basati su sistemi di two-factor authentication (ossia password + dispositivo fisico di autenticazione)...

Allora, val così la pena di trascurare la sicurezza per continuare a tenersi questo photoshop krakkato?

mercoledì 14 luglio 2010

Privacy giornalismo

La notizia del deposito della sentenza (n.16236 del 2010 del 6 maggio 2010, depositata il 9 luglio 2010) era stata pubblicata ieri da Il sole 24 ore con un titolo eloquente: "la libertà di informazione  prevale sulla privacy".

Non c'è che dire:  un bel titolo ad effetto, specie e fronte delle recenti polemiche sulla "legge bavaglio", che stanno varcando anche i confini nazionali, fino a giungere all'ONU ....

Anche indipendentemente dal momento politico in cui si colloca (non nascondiamoci  dietro ad un dito...) è una sentenza interessante (e pienamente nel solco della tradizione della nostra Suprema Corte).

Di seguito riporto la parte finale della motivazione:

Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell'onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l'oggettivo interesse a rendere consapevole l'opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l'uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.
Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica (ai sensi dell'art. 2 5 della legge 31 dicembre 1996, n. 675; dell'art. 20 D.lgs. n.467/2001 e dell'art. 12 del D.lgs. n.196/2003).
Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende l'attività di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritta personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.
In particolare, è da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento all'art. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto all'informazione si evince da un duplice ordine di considerazioni :
a) innanzitutto l'art. 1, 2°comma, Cost., nell'affermare che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei lìmiti della Costituzione", presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, l°comma, Cost.), a tal fine predisposti dall'ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all'attività di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente "sovrano" (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dell'opinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di inte resse pubblico.
b) Inoltre, non può non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dell'ampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e "privacy" nell'alveo delle "eccezioni" rispetto al generale principio della tutela dell'informazione; tant'è vero che in proposito, nel Lo stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) all'art. 6 si legge testualmente che "la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti"; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dell'assemblea n.1003 del 1°luglio 1993, relativa all'etica del giornalismo, il Consiglio d'Europa ha, tra l'altro, affermato che "i mezzi di comunicazione sociale assumono, nei confronti dei cittadini e del la società, una responsabilità morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui l'informazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalità dei cittadini, sia per l'evoluzione della società e della vita democratica".
 

sabato 10 luglio 2010

E se avesse ragione lui?



Riprendo da un commento dell'amico P.S. e rilancio con una domanda: e se avesse ragione Montanelli? Sono queste le ragioni della ormai cronica difficoltà dell'Italia come paese?

Diffido dalle risposte semplici a problemi complessi (ed è questa una delle ragioni per le quali in genere diffido della destra e - specialmente - di questa destra), ma in due punti il discorso di Montanelli mi ha fatto venire la pelle d'oca: quando ha parlato della mancanza di consapevolezza degli italiani e del loro rifiuto di studiare la loro storia e quando parla all'attitudine degli italiani al lavoro servile.

Quello che secondo me Montanelli non coglie  e rimane sullo sfondo è la struttura paternalistica e affiliativa che tutt'ora permea la società italiana, anche in questi tempi di transizione verso un atteggiamento più 'adversarial' (non consapevolmente vissuto), più vicino all'atteggiamento anglosassone (ma anche francese: provare per credere). Temo che il servilismo degli italiani sia più l'effetto che la causa ...

Sarà quella la ragione per la quale nei tempi moderni (nei quali la mancanza e la distanza dalle fonti di approvvigionamento di materie prime risulta meno importante), paradossalmente aumenta la distanza dell'Italia dai leader europei (Francia e Germania)?

Sarà quella la ragione per la quale dall'Italia non viene mai un innovazione (salvo, magari nel campo della moda, dove però di regola eccelliamo prevalentemente per la qualità dei materiali e del lavoro) o una rivoluzione?

Già, perchè - non me ne voglia l'amico etienne, ma in Italia una rivoluzione "dal basso" non l'abbiamo avuto da quando San Francesco (una figura senz'altro da studiare per la sconcertante modernità dei temi sociali dell'epoca ...) ha contribuito a riportare nell'aleveo della normalità i moti popolari ed eretici del 1200 ...

lunedì 28 giugno 2010

L'erba del vicino è sempre più verde ... (upgraded)

Non si sono ancora spente le polemiche suscitate dal referendum indetto dalla FIAT sul "nuovo" contratto di Pomigliano, che una notizia decisamente più "piccola" emerge dalla profondità del mio feedreader ...

Dopo la società italiana che decide (ma ha deciso qualcosa, alla fine???) di togliere lavoro alla Polonia per  portarlo in Italia, ora vedo una società indiana (uno di quei gruppi che hanno fatto furore con l' "offshoring") che apre un centro di ricerca nell'Irlanda del Nord e progetta di assumere 85 persone.

Non sono certo i numeri che mi hanno colpito (e hanno colpito la rivista che ha rilanciato la notizia) ma le motivazioni: la società indiana si sarebbe detta colpita della disponibilità di laureati in Irlanda e dei bassi livello di conflitto. Questo proprio mentre in Cina una catena di scioperi costringe il governo ad alzare i salari ...

Buone notizie per il vecchio continente? Non ne sono così sicuro ...


Upgrade del 30 giugno:

Oggi su Punto  Informatico leggo che Baidu, il motore di ricerca leader dell'enorme mercato cinese, assume talenti informatici negli Stati Uniti.

Avanti così ...

domenica 27 giugno 2010

Exalead prende il volo?

La notizia non è di quelle che colpiscono l'immaginazione, tant'è che sulle prime mi era scappata.

Exalead, il principale motore di ricerca europeo, è stato acquisito da Dessault, il gruppo industriale francese famoso specialmente per le sue attività areonautiche.

Già ma chi sa che esiste un motore di ricerca europeo (e che si chiama Exalead)? Pochissimi credo.

Il motore di ricerca per antonomasia è Google, per lo meno al di fuori di due mercati non certo secondari come la Cina, dove impazza Baidu, o il Giappone, dove il mercato è dominato da Yahoo.

Che bisogno c'è di un motore di ricerca europeo?

Bah, l'importanza di un motore di ricerca è senz'altro notevole. Proviamo per un attimo a pensare di non poter ricorrere a Google: probabilmente molti internauti si sentirebbero senz'altro persi. Mitico gògol .....

Ma, avendo Google, che importanza ha creare un nuovo motore di ricerca, oltretutto gratuito?

In due parole, chi controlla un motore di ricerca può controllare che cosa cerca la gente, ma soprattutto, che cosa trova la gente.

L'ordine nel quale un motore di ricerca restituisce i risultati non è casuale,  affatto. L'ordine dipende da parametri implementati nel motore di ricerca che stabiliscono l'ordine di priorità delle risposte (il cd. "ranking" delle risposte).

Questi parametri, che seguono vere e proprie logiche di intelligenza artificiale, costituiscono un elemento essenziale (insieme al numero di pagine indicizzate) per determinare l'utilità (e il successo) dei motori di ricerca, ma il loro controllo consente anche - se lo si vuol fare - di "indirizzare" le ricerche (un po' come fa Google con le "adwords").

In ogni caso poi il valore  ricavabile dalle milioni di pagine indicizzate, combinato magari con i dati delle ricerche, è assai difficile da stimare.

L'idea di un motore di ricerca europeo era stata lanciata dall'ex presidente francese Jacques Chirac. Il nome del progetto era (in latino): "quaero".

Exalead, titolare di un interessante motore di ricerca per pagine web,  era, appunto, il partner tecnologico che doveva fornire la tecnologia per il motore di ricerca.

Poi, certo, il mercato dei motori di ricerca è un mercato difficile, come si è accorta Altavista, bruciata in partenza dagli sconosciuti golden boys Larry Page e Sergey Brin, ma hanno dovuto constatare anche Yahoo e da ultimo anche l'onnipotente Microsoft, il cui Bing ancora stenta a farsi spazio.

Resta quindi da chiedersi che ci fa una compagnia molto attiva nelle forniture militali (Dessault è molto famosa per un software per il CAD e la simulazione 3D, ma è ancora più famosa per gli aerei militari Mirage, Super Etendard e Rafale, che sono l'orgoglio dell'industria militare francese, l'unica azienda in grado di competere con statunitensi ed ex sovietici ...).

Difficile trovarci un nesso, ma facile ricordare come la storia della stessa Google è sempre stata accompagnata da sospetti di connessioni con l'intelligence statunitense, che alcuni fanno retroagire fino alla fondazione stessa di Google ...

giovedì 10 giugno 2010

Il potere della stupidità

Questo non è un post sull'attualità, sulla politica o sull'economia.

Tutt'altro.

Oggi voglio parlare di libri e (di nuovo) di libri che parlano della stupidità. E' un argomento importante e lo sappiamo tutti. 

Che poi la stupidità sia stata in passato molto studiata anche da storici e magari da storici dell'economia come il prof.Cipolla, ci dice molto sull'immanenza e sulle conseguenze di questo problema. 

Ma è appunto un problema universale.

Ora vi voglio segnalare questo libro: "Il potere della stupidità", di Giancarlo Livraghi, disponibile su Google Books, e prossimo ad un'edizione a stampa anche in Spagna.

Quella del libro è  però anche una storia di libertà e di condivisione delle idee, visto che - come racconta l'autore stesso - il libro è nato in rete e proprio grazie alla messa a disposizione gratuita su internet ha potuto trovare un editore in Spagna per un ulteriore edizione cartacea, dopo quella italiana.

Se vogliamo, il libro è anche  una dimostrazione della stupidità del concetto che l'attuale rigida disciplina del copyright, con le sue esclusive e limitazioni, sia nell'interesse dell'autore, specie di quell'autore che non ha potere contrattuale sulle case editrici.

Ma torniamo a libro e leggiamo:

giovedì 13 maggio 2010

C'è un'app per te ... (updated)

Ha ragione la pubblicità della Apple: c'è un' "app" praticamente per qualsiasi cosa ...

Vuoi scambiare foto? ... c'è un'applicazione (un' "app") appositamente sviluppata per te.

Benissimo. E allora perchè non realizzare un' app anche per chi deve superare l'esame di avvocato?

Negli Stati Uniti l'hanno realizzata e non è certo a buon mercato, visto che costa circa un centinaio di dollari (contro i pochi cent di moltissime altre consorelle).

Avrebbe successo anche da noi?

Non credo. Se puoi portarti uno smartphone all'esame, un amico che ti trasmette la sentenza giusta in tempo (sempre che tu non abbia direttamente l'accesso via internet allo juris data dello studio ...) ti costa molto meno. E poi, vuoi mettere il divertimento....?


Update del 19 giugno:

Il Telegraph  di ieri segnala che la polizia del Sussex sta pensando di consentire di presentare le richieste di rinnovo di licenze per armi da fuoco tramite un'app per iPhone ...

Considerato quanto avvenuto recentemente in Cumbria con un tassista impazzito che ha ucciso 12 persone, mi sembra un'idea quanto meno inopportuna.





domenica 25 aprile 2010

Bella ciao .... (coro e banda dall'Armata Rossa).




Coro e banda dell'Armata Rossa
via letturalenta.net


Visto il momento, trovo molto appropriato il riferimento all'Armata Rossa.

Siamo ormai lontani dalla guerra fredda e dovrebbe essere il momento di ritrovare un po' di oggettività storica, e invece .... si assiste ad atteggiamenti che hanno l'unico fine di creare polemiche politiche pretestuose ed inutili (sottacendo tra l'altro la responsabilità dei nazi-fascisti nello scatenare una guerra di inaudita ferocia come la seconda guerra mondiale).

Senza nulla togliere allo sforzo degli americani (ma anche agli inglesi, francesi, neozelandesi, polacchi, nepalesi e tutti gli altri popoli che hanno mandato i loro soldati a liberare l'Italia dai nazi-fascisti), non è in Italia, né in Normandia, né in Inghilterra che si è vinta la guerra, ma nelle pianure dell'est.

Sempre senza nulla togliere agli altri alleati dei sovietici, nessuna nazione ha pagato un tributo così alto all'aggressione nazista: oltre 20 milioni di morti (si stimano 8 milioni di morti tra i militari e oltre 12 tra i civili).

Se nell'immaginario di noi occidentali, la seconda guerra mondiale sono la battaglia d'Inghilterra e lo sbarco in Normandia, la realtà è che lo scontro più aspro e feroce si sviluppo nelle pianure e nelle steppe dell'est, dove le forze nazi-fasciste scatenarono una vera guerra di distruzione: oltre ai 20 milioni di sovietici, perirono oltre 6 milioni di polacchi (questi, per la verità, almeno parzialmente una co-produzione russo-tedesca ...) un milione di Iugoslavi (e qui con un contributo del Regio Esercito), 500.000 Ungheresi, 350.000 lituani, 300.000 greci (come per gli iugoslavi ...) ... a dimostrazione della ferocia estrema degli scontri in una zona con non conobbe pace per quasi sei lunghissimi anni. Senza voler far classifiche, le perdite di statuntitensi e inglesi (circa 400.000 per ciascun paese) furono in realtà inferiori a quelle subite dagli italiani stessi nonostante le perdite inglesi e statunitensi comprendano anche quelle subite nella campagne del pacifico (contro i giapponesi ) ai quali gli italiani rimasero estranei ....

E allora, con buona pace di Cirielli (che comunque passerà alla storia per la legge da lui prima proposta e poi rinnegata ....) voglio riservare un ringraziamento (unitamente ai loro ex alleati statunitensi, inglesi, francesi ....) anche ai milioni di russi, ucraini, siberiani, kirghisi, uzbeki ... che combatterono il nazifascismo come alleati degli statunitensi.

E meno male, questo sì, che grazie agli americani (e agli accordi di Yalta) le armate di Stalin non arrivarono fino a qui.

Ma la liberazione dal nazifascismo la dobbiamo ricordare.

Perchè nessun sistema economico e politico (e il nazifascismo, che non fu meno mostruoso del 'socialismo reale', ne è la prova eclatante) ha in sè l'immunità dal totalitarismo e dalla tirannia.

L'immunità passa prima di tutto da una visione più serena e disincantata della storia .... 

giovedì 22 aprile 2010

Idee poche ma confuse.

Si ricomincia.

Scade domani il termine per la presentazione in senato di emendamenti per la discussa (contro)riforma della professione forense.

Idee poche ma confuse.

Se da un lato abbiamo un ministro della Giustizia che da un lato non presenta emendamenti, ma dall'altro sollecita ripensamenti in ordine alla bozza in esame (!?!), dall'altro ancora abbiamo una classe forense sempre più spiazzata dalla situazione attuale.

Questa è la "battaglia del grano" e francamente è una battaglia che capisco. Avevo già scritto che ormai non sono più i dipendenti quelli che scioperano, ma padroncini e professionisti ..... Ora, proprio nel momento in cui i dipendenti, con la (contro)riforma della contrattazione collettiva (e il "depotenziamento" del contratto collettivo nazionale) stanno perdendo la garanzia stessa del salario minimo, gli avvocati che chiedono? I minimi obbligatori (ossia garantiti per legge).

Siamo al welfare forense (la definizione "welfare delle professioni" è del "Sole 24 ore") ....

Bene.

Alla fine hanno ragione loro. La riforma è una chiavica e alla fine finirà con l'emarginarli ulteriormente. Ma è il principio che conta: che ce ne frega del mercato che mette il povero contro il più povero?

Non me ne frega niente. Tanto la paura fa novanta e di fronte al questa crisi una classe forense in crisi di 'status' e che rischia di dover affrontare un probabilissima riduzione della giustizia (si chiami 'processo breve' o privatizzazione della giustizia del lavoro, il risultato è lo stesso: riduzione del contenzioso giudiziale) non ragiona e non ragionerà.

L'unica cosa che mi interessa che non mi neghino il diritto di far valere l'esame di abilitazione congelato dalla normativa emanata a fronte della precedente crisi (quella degli anni '30) e conseguente (contro)riforma.

E quindi forza con gli emendamenti, perché se alcune norme sono state cancellate dalla camera, restano norme (come l'art.2, comma 3) che possono precludere a chi non è attualmente iscritto la futura iscrizione all'albo degli avvocati.

A presto.

giovedì 15 aprile 2010

Il virus che ti fa causa

La paura fa novanta e lo sanno bene i truffatori.

Gli elementio fondamentale di ogni truffa sono il desiderio di guadagno (immeritato) o la paura: solo così il truffato infila da solo la testa nel cappio ...

E allora perchè non sfruttare l'onda di inquietudine lasciata da iniziative come quelle di Peppermit o della famigerata Logistep (e magari - diciamolo - il senso di colpa di 'alcuni' navigatori che amano un po' troppo la musica gratis ....)?

E allora è comparso in rete un virus che si 'traveste' da programma di controllo anti-pirateria e che fa apparire una schermata in cui si contesta il ritrovamento di file piratati, prospettando gravi sanzioni a meno che l'utente non accetti di pagare subito una somma a titolo di transazione.

Tutto falso, ovviamente. E l'ulteriore beffa è che il sito indicato per accogliere la transazione tramite carta di credito è un sito non collegato ad alcun circuito di pagamento, ma un sito fasullo (una specie di sito di phishing) che raccoglie dati di carte di credito per futuro uso ....

martedì 13 aprile 2010

Consapevolezza ...

"Per chi ha la consapevolezza
basta solo un accenno.

Per la massa degli indifferenti
la mera conoscenza è inutile
".


La citazione l'ho trovata sul frontespizio di un romanzo che ho recentemente comprato (L'albero dei giannizzeri di Jason Goodvin) e mi ha molto colpito.

Forse viviamo l'era dell'informazione; probabilmente viviamo l'epoca dell'indifferenza. Sicuramente non viviamo l'epoca della consapevolezza.

E qui mi fermo, perchè non sono un filosofo o un guru.

Torno al libro (un romanzo, appunto) e poi vi dico.

lunedì 12 aprile 2010

"siamo al top...." (upgraded)

Oggi è stata depositata la sentenza del caso Google-Vivi Down e, non appena avuta la notizia, mi sono precipitato a leggerne la motivazione.

Una lettura interessante da un lato e un po' deludente dall'altro.

Interessante la ricostruzione dei fatti, con tanto di ampi stralci dei verbali delle indagini di Polizia Giudiziaria e delle testimonianza.

Un po' deludente (per lo meno a mio parere) la parte di motivazione vera e propria: molti aspetti sono solo accennati e - anche se confesso di aver letto solo sommariamente le 111 pagine (!) della sentenza - fatico a cogliere il punto in termini concettuali, specie in termini di nesso tra la mancanza dell0 informativa (all'utente?) e accettazione del rischio di violazione dei diritti (dell' "interessato").

Una frase come quella che segue "Esiste quindi, a parere di chi scrive, un obbligo NON di controllo preventivo dei dati immessi nel sistema, ma di corretta e puntuale informazione, da parte di chi accetti ed apprenda dati provenienti da terzi, ai terzi che questi dati consegnano" fatico a collocarla sia nel contesto del d.Lgs.70/03 che nel contesto della normativa sulla data protection.

Lascerei per ora la parola agli esperti.

Molto istruttiva è, peraltro, la parte di ricostruzione del fatto relativa in particolare alla verifica della compliance di Google Italy S.r.l. rispetto alle normative italiane (pag.46 e s.s.).

Istruttivo: la policy pare fosse, nelle giurisdizioni extra USA, quella di non rimuovere contenuti diffamatori senza ordine di un giudice (o salvo che un avvocato non dimostrasse loro che non vi era spazio per difendere il contenuto contestato) e che di fatto nessuno o quasi degli avvocati italiani abbia mai avuto neppure risposta ai numerosi reclami presentati negli anni ...

E stando alla ricostruzione del Giudice, non si tratterebbe di incidenti o casi isolati, ma di un atteggiamento che - almeno fino a tutto il 2006 - sarebbe stato di totale disinteresse rispetto alla normativa italiana.

Bello. Ma piu' bella è stata la risposta che sarebbe stata data dal responsabile legale per l'Europa ad una richiesta di Google Italy, priva di supporto legale interno, di rivedere le policy interne in materia di privacy alla luce della normativa italiana: "siamo al corrente della vigente legislazione .... e 'siamo al top' su questo tema" ........


Aggiornamento del 14 aprile 2010.

E' sempre istruttivo poter osservare come si comporta una grande società nell'entrare in un nuovo mercato, specie quando questo mercato si trova in un piccolo paese molto lontano.

Tuttavia, discutendo di rispetto di normative, il primo punto da porsi è - ovviamente - quello dell'applicabilità di tali normative.

E questa mattina mi trovo questo commento di Bruno Saetta:
"Comunque ..., la condanna è per violazione dell'art. 167 c. privacy, che prevede una pena per chi tratta dati sensibili in assenza di consenso.
In realtà Google Italia (i 3 sono dirigenti di G Italia) non tratta alcunché, casomai è G Inc a trattare, e la stessa polizia postale ammette (13/11/06) che il contenuto era all'estero, negli USA. Ma il giudice dice che comunque ci sarebbe stato un trattamento a Milano.
La normativa privacy si applica anche a trattamenti avvenuti all'estero, se l'azienda ha una sede in Italia (per il giudice G Italia è collegata a G Inc) e degli strumenti in Italia, "salvo che essi siano utilizzati solo ai fini di transito nel territorio dell'Unione Europea". Che poi è il caso specifico, cioè i dati transitano verso gli Usa dove vengono trattati. Nello specifico il trattamento consiste nella conservazione del video per 2 mesi, ma il trattamento è avvenuto negli USA."
Certo che il trattamento è avvenuto negli USA: finalità e modalità del trattamento sono decise negli USA, le infrastrutture sono negli stati Uniti e persino i reclami ricevuti da Google Italy sono gestiti da là. Gli stessi imputati sono innanzitutto dipendenti di società straniere del gruppo Google e designati esponenti di Google Italy proprio in virtù di tale loro veste.

Tenuto conto che l'utente si collega direttamente alle infrastruttura di Google Inc (Google Italy agisce da interfaccia prevalentemente nella raccolta della pubblicità) non possiamo dire che neppure la raccolta dei dati avvenga in Italia.

E allora che c'entra l'informativa? Nulla, specie se quella che si imputa non è l'informativa all'interessato (prevista dalla legge, ove applicabile) ma l'informativa al soggetto che ha raccolto i dati (oggettivamente non prevista in alcuna norma ...).

Inapplicabile la legge sulla 'data protection' (continuo ad essere piuttosto allergico a chiamarla normativa sulla privacy), vincolata ad un principio espresso di territorialità, la condotta di diffusione dei dati nel territorio della Repubblica non è priva di rilevanza, ma va valutata alla luce dei principi di divieto dell'obbligo generale di sorveglianza e delle limitazioni di responsabilità degli internet service providers di cui agli art.14 e seguenti del D.Lgs.70/2003.

Si potrebbe, a mio avviso approfondire la questione dell'applicabilità a Google Video delle normative di cui sopra. Proprio la recente sentenza 23 marzo 2010 della Corte Europea di Giustizia (cfr. in particolare il punto 118) non ha affatto riconosciuto a Google lo status di intermediario 'neutro' ai fini dell'applicazione della disciplina di esenzione di responsabilità prevista dalle norme europee sul commercio elettronico (delle quali in D.Lgs.70/2003 costituisce attuazione) rinviando al giudice nazionale l'esame relativo e in particolare indicando specificamente il tema dell'indagine ("è invece rilevante il ruolo svolto dalla Google nella redazione del messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario o nella determinazione o selezione di tali parole chiave").

lunedì 29 marzo 2010

Le toghe e il codice ... libero

Nel panorama un po' desolante della giurisprudenza italiana in maniera di software, possiamo ora registrare - udite! udite! udite! - un intervento della Corte Costituzionale.

La questione di legittimità costituzionale è stata promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che lamentava che una legge della regione Piemonte in materia di promozione del software libero violava le leggi sulla concorrenza.

Ora, l'accusa al software libero di violare la normativa sulla concorrenza, per quanto per certi versi paradossale, non è nuova: in alcuni casi si è sostenuto che il software libero facesse concorrenza sleale al software proprietario praticando 'prezzi predatori' (in quanto distribuiti gratuitamente), in altri casi ci si è appuntati sul carattere 'virale' delle licenze open source, ossia sul fatto che le licenze open source consentono la libertà di rimodificare e distribuire il software 'libero' a condizione di distribuire a propria volta il software libero solo con pari libertà.

La prospettiva della Presidenza del Consiglio era più, come dire, terra-terra, in termini di violazione della competenza statale in materia di concorrenza.

La sentenza è prevalentemente tecnica e tecnicamente affronta le problematiche poste dalla legge della Regione Piemonete.

Tuttavia la sentenza risulta a mio avviso molte importante. In primo luogo, in un panorma che ora vedeva poco più di questo articolo di Carlo Piana, riconosce la dignità (e legittimità giuridica) delle licenze di open source, sia in quanto evidenzia una cosa che secondo me è basilare, e cioè che il fenomeno open source, ossia il fenomeno legato all'affermarsi delle licenze 'pubbliche' (come l'ormai famosa e ubiquitaria GPL) è un fenomeno giuridico.

Cito testualmente la sentenza:

"si deve ancora ribadire che i concetti di software libero e di software con codice ispezionabile non sono nozioni concernenti una determinata tecnologia, marca o prodotto, bensì esprimono una caratteristica giuridica. In sostanza, ciò che distingue il software libero da quello proprietario è il differente contenuto dell’accordo negoziale (licenza), posto a fondamento della disciplina dei diritti di utilizzazione del programma; e la scelta circa l’adozione dell’uno o dell’altro modulo negoziale appartiene alla volontà dell’utente".

mercoledì 3 marzo 2010

Google: vediamo di guardarci un po' dentro ...

Il silenzio degli atti processuali è destinato a durare ancora un po'.

A fronte di un un processo singolarmente privo di fughe di notizie (e celebrato a porte chiuse su precisa richiesta di google stessa) e di una campagna mediatica invece ormai del tutto abituale per gli scenali italiani, i magistrati cominciano a 'sbottonarsi'.

E così ieri su l'Espresso, i Sostituti Procuratori milanesi che hanno sostenuto l'accusa replicano a Google.

Il punto è semplice, quanto - in certo modo - sorprendente: la legge (il D.lgs.70/93) espressamente esclude dall'applicazione della disciplina di esenzione dei provider le materie regolate dalla disciplina della privacy.

Già: l'art.1 comma 2, ripreso pari pari dalla direttiva 2000/31/CE , che dichiara che:
"La protezione dei singoli relativamente al trattamento dei dati personali è disciplinata unicamente dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e dalla direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni, che sono integralmente applicabili ai servizi della società dell'informazione. ...L'applicazione della presente direttiva deve essere pienamente conforme ai principi relativi alla protezione dei dati personali, in particolare per quanto riguarda le comunicazioni commerciali non richieste e il regime di responsabilità per gli intermediari. ....."

In sostanza la norma stessa che introduce le esenzioni per i provider, fa integralmente salva la normativa in materia di trattamento di dati personali.

Il risultato? La disciplina speciale prevista per i provider non è applicabile ai servizi oggetto della normativa sui dati personali. Sotto questo profilo la normativa è persino più chiara e tranchant dell'art.1 del D.Lgs.70/2003 ...

Ma ciò vuol dire che il provider potrà applicare la disciplina esentativa degli art.14, 15 e 16 (oltre a poter invocare l'assenza dell'obbligo generale di sorveglianza ai sensi dell'art.17) solo per violazioni di copyright, concorrenza o pornografia (non pedo, perchè avremmo il problema del consenso del 'modello') e non per violazioni della disciplina dei dati personali (foto o altre informazioni pubblicate senza consenso o - nel caso di 'sensibili' - al di fuori delle autorizzazioni del Garante?

Out-law (che non è un sito di pirati o di smanettoni, ma una rispettabile law firm inglese specializzata in outsourcing e ICT in genere) sta dicendo di si, con un pezzo dal titolo significativo (e significativamente dissonante nel panorma di pubblica lapidazione dell'Italia e dei suoi giudici): "Google convictions reveal two flaws in EU law, not just Italian law" (ossia "le condanne nel caso google rivelano due falle nella normativa italiana ed europea". L'articolo è basato sulle osservazioni di un esperto italiano, l'avv.Elvira Berlingieri.

Follie?

Non so, certo è che la lettera delle legge suggerisce (e forse impone) certe conclusioni.

I precedenti casi giurisprudenziali italiani (The Pirate Bay e Mediaset-YouTube) vertevano in materia di copyright, questo è il primo che affronta il conflitto tra privacy e disciplina dei provider.

Quello che sapevo era che la norma era nata proprio a seguito di casi come Compuserve e Altern.org che vertevano proprio sull'abuso di dati personali (pubblicazione senza consenso di foto) e ora scopro (sicuramente per ignoranza mia) che l'applicazione della normativa suo dati personali andrebbe fatta comunque e sempre salva ...

Comunque sia ci voglio riflettere.

mercoledì 24 febbraio 2010

Il giorno del giudizio ...

Il processo era in corso da tempo, oggi la sentenza.

Condannati tre dirigenti di google per la pubblicazione (quasi quattro anni fa) del video che mostrava un alunno disabile crudelmente sbeffeggiato dai compagni sotto lo sguardo di un insegnate.

Comprensibilmente la sentenza sta facendo il giro del mondo e i commenti sono quanto meno perplessi (quando non del tutto fuori tono).

In questo fiume di bit è difficile trarre qualche indicazione seria, posto che la motivazione della sentenza è nota e il processo si svolto a porte chiuse (su richiesta degli avvocati di google).

Premetto che rimango perplesso sull'esito del giudizio, soprattutto in una prospettiva non giuridica e partendo dalla considerazione che è stata proprio l'enorme pubblicità data al filmato da google che ha consentito di scoprire il ripugnante comportamento dei compagni del disabile e di venire in suo aiuto.

Tuttavia l'aspetto giuridico è a mio avviso molto meno chiaro di quanto non si pensi.

Le norme non prevedono affatto un'esenzione assoluta di responsabilità per i soggetti che pubblicano contenuti altrui sui siti.

L'esenzione è relativa ai servizi di trasporto ('mere conduit'), chaching e hosting (art.14, 15 e 16 D.Lgs.70/03).

Siamo sicuri che l'attività di google video sia mera servizio di hosting? Ci voglio pensare: google non solo acquisisce dall'utilizzatore dei servizi "una licenza eterna, irrevocabile, mondiale, priva di royalty e non esclusiva a riprodurre, adattare, modificare, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire " qualsiasi contenuto che venga caricato sui suoi server, ma promuove attivamente alcuni contenuti, sia pure con strumenti automatizzati (quali gli elenchi di video più visualizzato o i suggerimenti nelle ricerche).

Ma farsi cedere i diritti e promuovere la diffusione non sono le attività tipiche di un editore?

Come dicevo, ci voglio pensare.

Temo pero' che abbia colto nel segno Marco Scialdone quando afferma che "YouTube e i servizi similari siano degli ibridi che non rientrano pienamente in nessuna delle tre categorie di esenzione immaginate dal legislatore comunitario. Questa è la ragione per cui anche la giurisprudenza fa fatica ad inquadrarne le relative condotte". Oltretutto nel campo del penale ci vorrebbe un elemento soggettivo (da dimostrare in concreto).

Tuttavia la motivazione la vorrei proprio leggere.

Che poi la soluzione (e la legge) mi soddisfi, è un altro conto.


domenica 7 febbraio 2010

Pigs in the wind ..

C'è poco da stare allegri.

Nei giorni scorsi un po' tutti i giornali italiani ci hanno spiegato che la recente caduta delle borse è legata ai dubbi circa la tenuta di alcuni paesi europei che hanno un debito un po' troppo 'gonfiato' e che sarebbero Portogallo, Irlanda e Grecia.

Questi paesi sono in difficoltà anche perché spendono quasi il 40% del gettito fiscale solo per ripagare il debito e sostanzialmente possono finanziarlo solo con nuovo debito (titoli di stato) che fanno sempre più fatica a piazzare.

Gli esperti avrebbero coniato il termine PIGs (maiali) per riferirsi a questi paesi.

Non mancano di un certo (cinico) spirito, questi 'esperti'.

C'è, però, poco da ridere, almeno per noi: nonostante i rassicuranti articoli dei media italiani il termine comunemente usato negli Stati Uniti è PIIGs (Portogallo, Irlanda, ITALIA e Grecia) ......

Del resto il nostro debito pubblico è in percentuale uno dei più alti del mondo, ben più alto degli altri 'maialotti'.

mercoledì 3 febbraio 2010

L'orrore economico

Quando ho comperato questo libro, nel 2000, ero stato attratto dalla critica del Corriere: si trattava di una stroncatura così pesante, ideologica e ottusa che mi era parso chiaro che il libro aveva colpito un nervo scoperto e che meritava una lettura ....

Una lettura interessante anche se, a sua volta, densa di ideologia e autoreferenzialità.

Il tema, però, della sparizione del lavoro (inteso come impiego) e dell'aumento della disoccupazione come fenomeni non transitori ma strutturali della nuova società e vero motore dei cambiamenti dell'epoca attuale mi faceva riflettere.

Il tempo è passato.

Eppure i nostri padri e i nostri nonni e i loro nonni vivevano di lavoro stabile e allora ogni altra forma di lavoro (il termine precariato non era stato inventato, allora c'erano i braccianti a giornata, i soprannumerari negli uffici e le professioni più antiche ....) era il regno dei disperati ....

Come si fa ad immaginare un mondo dove l'occupazione regredisce strutturalmente (e gli occupati sono a loro volta additati ai disoccupati come la vera anomalia)?

Alcuni giorni fa lo rivedo in ristampa da Feltrinelli e devo dire che un brivido mi è sceso lungo la schiena: possibile che fosse tutto già così chiaro più di dieci anni fa fa?

Eppure la spiegazione si trova sul dorso stesso del libro:
"Niente indebolisce, niente paralizza come la vergogna. E' un sentimento che altera sin dal profondo, lascia senza risorse, consente qualunque influenza dall'esterno, riduce chi la patisce a diventare una preda: da qui l'interesse dei poteri a farvi ricorso e a imporla. E' la vergogna che permette di fare le leggi senza incontrare opposizione , e di trasgredirle senza temere proteste. La vergogna dovrebbe essere quotata in Borsa: è un elemento importantissimo del profitto ..."

martedì 26 gennaio 2010

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