mercoledì 27 ottobre 2010

Nimiae formae tuendi cognitionem

Dall'enciclica "Caritates in veritate" di Benedetto XVI:
"Sunt enim nimiae formae tuendi cognitionem ex parte Nationum divitum per nimis severam iuris proprietatis intellectualis applicationem, praesertim in ambitu sanitatis"

Ossia: "Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario".

Beh, è segno dei tempi che anche la Chiesa Cattolica si debba occupare (e preoccupare)  di proprietà intellettuale.

E il problema della limitazione della diffusione di medicine essenziali determinato dal livello insostenibile del costo delle royalties da pagare alle case farmaceutiche pone con forza il problema della difficile compatibilità della proprietà intellettuale e dei suoi costi con il progresso e il benessere comune.
Si suole dire che la proprietà intellettuale favorisca la conoscenza, ma è di tutta evidenza che il costo e le limitazioni della circolazioni della conoscenza imposte  dall'invenzione della proprietà intellettuale non sono di poco conto. E' pure evidente che la  proprietà intellettuale molto spesso non favorisce gli interessi degli autori e inventori (persone fisiche), che non partecipano all'accumulo della ricchezza, spesso patrimonio esclusivo di grandi società.

Ma è poi vero che - come si suole ripetere - che la proprietà intellettuale favorisce la ricerca e la diffusione della conoscenza?

Mi sia permesso di dubitarne fortemente. Se ne parla spesso, ma raramente vengono proposti dati ed esperienze, sia pure empiriche.

Anzi, proprio sotto il profilo delle esperienze empiriche e per restare nel campo sanitario, osservo che in Italia i brevetti sulle specialità medicinali sono ammessi dal '78. Prima di tale periodo l'industria farmaceutica italiana era forte (il quinto produttore mondiale e il settimo esportatore). Attaualmente molte case sono cadute in mano straniera e l'industria farmaceutica italiana è del tutto uscita dall'arena internazionale.

giovedì 21 ottobre 2010

Copio e incollo ...

Dalla newsletter di Top Legal:
Tornano i minimi tariffari inderogabili. O meglio, torneranno se legge di riforma della professione forense verrà approvata, nell'attuale formulazione, dal Parlamento.
Ieri, il Senato della Repubblica ha approvato l'articolo 12 della futura legge professionale reintroducendo il concetto della inderogabilità dei minimi, abrogato dal famoso decreto Bersani di fine 2006.
La notizia salutata con giubilo dai vertici della professione forense ci lascia perplessi.
Senza voler essere sterilmente polemici, pensiamo sia utile riflettere su questa decisione del Legislatore in coincidenza con la pubblicazione, da parte del Financial Times, della classifica degli avvocati innovatori (Innovative Lawyers) per il 2010.
Nell'elenco dei primi 50 studi, compaiono solo tre italiani. Nctm, Portolano Colella Cavallo e Assistenza Legale (A.L.) ovvero il network di negozi legali che ha costruito la propria fortuna lavorando proprio sulla formulazione di una politica tariffaria innovativa, lontanissima dalla logica che sottende il concetto dell'inderogabilità dei minimi.
Leggendo la classifica degli studi più innovativi sul fronte dell'efficienza operativa, inoltre, si riscontra che gli studi più elogiati dal Financial Times sono stati proprio quelli che sono riusciti a costruire delle strutture in grado di generare economie a tutto vantaggio delle tasche dei clienti.
L'Italia, in ambito internazionale, continua a muoversi con i paraocchi.
E questo non vale solo per il tema tariffe. Il Financial Times ha stilato una classifica anche per le direzioni affari legali. Anche qui l'Italia è rappresentata al minimo sindacale con Monte dei Paschi di Siena e Ferrero.
In questo caso, se possibile, siamo messi anche peggio. Per il nostro Legislatore, i giuristi d'impresa non sono nemmeno degni di essere considerati avvocati.
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