domenica 28 giugno 2009
domenica 21 giugno 2009
W il partito pirata
Due settimane fa, l'elezione in Svezia di alcuni rappresentanti del Partito Pirata ha suscitato molta curiosità.
Adesso, ovviamente, la curiosità è scemata. Altri partiti e altri pirati occupano gli schermi, come sempre.
Tuttavia, forse non è solo un fenomeno di colore o, magari, un causa di comodo della serie: quando stai per finire in galera fondi un partito ….
E' di oggi (tramite Slashdot) la notizia di un parlamentare tedesco (parlamento federale) che ha lasciato il suo partito per protesta dopo 40 anni dando la sua disponibilità a confluire nel 'Partito Pirata'.
Premetto che non amo i download di musica gratuita e i peer-to-peer (l'unico peer-to-peer che uso è skype): ho in caso un gran numero di dischi e cd, molta più musica di quanta ne senta normalmente, e nel mio iPod ci sono finiti un po' di questi, debitamente compressi.
Fatico quindi fatica a capire la 'bulimia' (l'espressione non è mia, è di Marco Scialdone) di chi scarica grandi quantità di musica dalla rete. Sono tuttavia convinto che tale bulimia non danneggi più di tanto le cade produttrici e gli autori, ma che anzi sia uno straordinario strumento pubblicitario.
Mi spiego.
Non solo esistono studi che confermano che la diffusione illegale di musica non ha danneggiato il mercato della musica (anzi), ma è anche una questione di buon senso.
Non solo, infatti, non è affatto detto che chi scarica gratuitamente scaricherebbe le stesse quantità di musica a pagamento se gli fossero preclusi i download illegali, ma la stessa la diffusione gratuita della musica è un formidabile strumento di lancio di questo prodotto (specie considerando i prezzi e – spesso – i vincoli del mercato legale). In altri campi (software) ci sono esempi di come l'iniziale tolleranza (anzi, anche un certo grado di 'incoraggiamento') della pirateria aiuti a saturare un determinato mercato, con notevoli vantaggi per il futuro.
Tuttavia l'azione di contrasto della 'pirateria' è sempre ai primi posti delle agende politiche (vedi 'dottrina Sarkozy') e delle cronache, anche giudiziarie. E' di questi giorni la notizia della mamma americana condannata a pagare 222.000 dollari per 24 canzoni.
Siamo di fronte alla possibilità che facciano questo anche da noi?
Alla fine non credo sia questo l'obiettivo, quanto meno in questa fase. Certamente lo sono - in primis - gli ISP, già recentemente costretti a dotarsi di strutture di filtraggio degli IP per via del contrasto alla pedopornografia.
Tuttavia, la prospettiva che il controllo delle connessioni e dei contenuti veicolati dagli ISP venga effettuato con capillarità e – oltre tutto - da strutture non giurisdizionali se non addirittura private, non lascia del tutto tranquillo. Che poi il controllo sia diretto dai fornitori dei contenuti (siano esse case musicali, cinematografiche o altri editori), mi piace ancor meno.
La battaglia da parte dell'industria musicale è in atto da tempo e con grande spiegamento di forze (e anche di forze dell'ordine, con notevole dispendio di denaro pubblico ....). Non è ora che cominci a diventare anche un argomento d'attenzione per la politica 'comune'?
Adesso, ovviamente, la curiosità è scemata. Altri partiti e altri pirati occupano gli schermi, come sempre.
Tuttavia, forse non è solo un fenomeno di colore o, magari, un causa di comodo della serie: quando stai per finire in galera fondi un partito ….
E' di oggi (tramite Slashdot) la notizia di un parlamentare tedesco (parlamento federale) che ha lasciato il suo partito per protesta dopo 40 anni dando la sua disponibilità a confluire nel 'Partito Pirata'.
Premetto che non amo i download di musica gratuita e i peer-to-peer (l'unico peer-to-peer che uso è skype): ho in caso un gran numero di dischi e cd, molta più musica di quanta ne senta normalmente, e nel mio iPod ci sono finiti un po' di questi, debitamente compressi.
Fatico quindi fatica a capire la 'bulimia' (l'espressione non è mia, è di Marco Scialdone) di chi scarica grandi quantità di musica dalla rete. Sono tuttavia convinto che tale bulimia non danneggi più di tanto le cade produttrici e gli autori, ma che anzi sia uno straordinario strumento pubblicitario.
Mi spiego.
Non solo esistono studi che confermano che la diffusione illegale di musica non ha danneggiato il mercato della musica (anzi), ma è anche una questione di buon senso.
Non solo, infatti, non è affatto detto che chi scarica gratuitamente scaricherebbe le stesse quantità di musica a pagamento se gli fossero preclusi i download illegali, ma la stessa la diffusione gratuita della musica è un formidabile strumento di lancio di questo prodotto (specie considerando i prezzi e – spesso – i vincoli del mercato legale). In altri campi (software) ci sono esempi di come l'iniziale tolleranza (anzi, anche un certo grado di 'incoraggiamento') della pirateria aiuti a saturare un determinato mercato, con notevoli vantaggi per il futuro.
Tuttavia l'azione di contrasto della 'pirateria' è sempre ai primi posti delle agende politiche (vedi 'dottrina Sarkozy') e delle cronache, anche giudiziarie. E' di questi giorni la notizia della mamma americana condannata a pagare 222.000 dollari per 24 canzoni.
Siamo di fronte alla possibilità che facciano questo anche da noi?
Alla fine non credo sia questo l'obiettivo, quanto meno in questa fase. Certamente lo sono - in primis - gli ISP, già recentemente costretti a dotarsi di strutture di filtraggio degli IP per via del contrasto alla pedopornografia.
Tuttavia, la prospettiva che il controllo delle connessioni e dei contenuti veicolati dagli ISP venga effettuato con capillarità e – oltre tutto - da strutture non giurisdizionali se non addirittura private, non lascia del tutto tranquillo. Che poi il controllo sia diretto dai fornitori dei contenuti (siano esse case musicali, cinematografiche o altri editori), mi piace ancor meno.
La battaglia da parte dell'industria musicale è in atto da tempo e con grande spiegamento di forze (e anche di forze dell'ordine, con notevole dispendio di denaro pubblico ....). Non è ora che cominci a diventare anche un argomento d'attenzione per la politica 'comune'?
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