giovedì 17 febbraio 2011

Social network vietato sul posto di lavoro?

 E' difficile commentare un passo come quello che segue:
"Come da Lei ben conosciuto, la partecipazione a blog o social network durante l'orario di lavoro, è in palese contrasto con la diligente e puntuale esecuzione del lavoro e il ripetuto e reiterato utilizzo di mezzi personali, stante l'inutilizzabilità dei mezzi tecnici messi a disposizione dalla Cassa, testimonia e conferma la volontà pienamente cosciente di contravvenire alle norme per il regolare svolgimento dell'attività lavorativa".
E' la parte finale di una lettera di licenziamento: il licenziamento di un dipendente della Cassa di Previdenza dei Dottori Commercialisti, accusato (oltre che di non aver salutato il Presidente e di aver rivelato ad un utente inferocito il numero di telefono del Diretto Generale) di aver postato commenti caustici (offensivi?) su facebook utilizzando il proprio iPhone personale.

E' una lettera in certi passaggi grottesca: si pretende in particolare di utilizzare la policy aziendale (ampiamente richiamata in altri punti della lettera) di vietare l'uso personale dei personal computer aziendale. E perchè non vietare allora l'uso sul lavoro del proprio cellulare personale?

Non è un punto da poco: in nessun punto della lettera è valutata la prestazione del lavoratore, la sua produttività (tanto di moda ora ...): solo i modi e i mezzi (personali) usati.

Pretendere che il dipendente nel corso dell'orario di lavoro (che negli ultimi , specie nel privato, anni tende spesso a prolungarsi sempre di più ...) sia tagliato fuori da ogni contatto sociale, non solo è paranoico, è impossibile. Non è mai avvenuto e non capisco perchè con internet debba essere diverso.

Probabilmente è anche illegale. Riprendo sul punto il provvedimento 1° marzo 2007 del Garante per la protezione dei dati personali:
"Il luogo di lavoro è una formazione sociale nella quale va assicurata la tutela dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati garantendo che, in una cornice di reciproci diritti e doveri, sia assicurata l'esplicazione della personalità del lavoratore e una ragionevole protezione della sua sfera di riservatezza nelle relazioni personali e professionali ...., riguardo al diritto ad ottenere che il trattamento dei dati effettuato mediante l'uso di tecnologie telematiche sia conformato al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato)".

11 commenti:

chartitalia ha detto...

Bah, non capisco perchè si mischiano due cose che dovrebbe essere distinte: se il comportamento del dipindente è stato sleale verso l'azienda credo debba essere sanzionato questo, eventualmente. La distinzione tra mezzi di produzione aziendale e personali, o tra tempo lavoro e tempo libero attualmente ormai è pura utopia. In questo momento sono collegato da casa con la _mia_ dsl ed utilizzando _miei_ mezzi di produzione perchè dovevo sbrigare delle attività urgenti.

Dopodichè la mia azienda addirittura incentiva l'utilizzo dei social network, ma ovviamente pretende il rispetto di codici di comportamento che non rechino danno all'immagine aziendale.

Vabbe', le grandi organizzazioni private hanno risolto il tutto infestando l'attività lavorativa con una pletora di KPI tramite cui ti misurano istante per istante e quindi se ne fregano di come e quando svolgi o non svolgi le tue attività lavorative. Ma questa è un'altra storia, o quasi...

herr doktor ha detto...

Lieto di risentirti :-)
Il problema è quello che dici: la distinzione tra tempo aziendale e tempo personale è sempre più confusa: oggi ad es. sono a casa malato, ma ieri mi sono portato il portatile a casa perchè più tardi devo lavorare. Ormai sto fuori casa circa 12 ore al giorno (incluso pendolamento) ed è impensabile che mi isoli da ogni attività 'sociale' per tutto il tempo (a prescindere che non capisco perchè ricevere una telefonata da un amico o chiacchierare con un collega è ammesso, mentre postare su fb dovrebbe essere vietato ...).
Anche da noi le policies non vietano il social network (ma dire che è incoraggiato ..) il problema sono le policies che avvertono di non legare il nome dell'azienda a opinioni personali che potrebbero gettare discredito sull'azienda (ed è questo il motivo per cui questo blog è anonimo).
ciao

chartitalia ha detto...

Sì, diciamo che sono stato un po' impegnato, sopratutto a causa dell'invadenza del lavoro nel mio tempo libero :-) E poi, te lo dicevo tempo fa, dovresti scrivere di più: i tuoi post sono sempre stimolanti...

A proposito di social network, l'incoraggiamento è rivolto naturalmente alla nostra piattaforma collaborativa con l'assunto che è un eccellente strumento di lavoro e, pur di prendere dimestichezza, ne è consentito qualsiasi utilizzo, purchè nel rispetto delle policies aziendali.

L'altro grosso assunto è quello cui accennavo sopra: ormai le grosse organizzazioni private se ne fregano di misurare il puro tempo-lavoro ma sono passati ad altri tipi di indicatori per misurare la produttività, magari altrettanto se non più grossolani, però in questo modo bypassano limiti di legge ancora più grossolani.

Anonimo ha detto...

Scusa, se Tizio e Tizia passano il tempo alla macchinetta del caffé conversando amenamente invece di lavorare, la cosa può avere rilievo disciplinare o no?
Si, può avere rilievo.
Non vedo differenze sostanziali con il cazzeggiare su Facebook o cose analoghe.
Siccome a me padrone scoccia pagare gente che cazzeggia su Facebook blocco l'accesso a Faccialibro.
Allora il dipendente cazzeggiatore, trova lo stesso il modo di cazzeggiare usando il suo I phone.
Facciamo un paagone terra terra.
Tizia abusa del telefono dell'ufficio per chiamare n amanti (Tizia è procace e ha una old style social network piuttosto nutrito).
Il padrone vorrebbe che, tra un ciao pucci e un ciao cicci, Tizia magari anche lavorasse, blocca il telefono.
Tizia, forte delle novelle tecnologie usa il suo telefonino.
No problem? Beh, direi che qualche problema esiste.
E non serve tirare in ballo le moderne confuioni tra tempo lavoro e tempo di vita: il cazzeggio rimane cazzeggio.
etienne64

chartitalia ha detto...

Cara/o Etienne64,
messa così la discusssione corre il rischio di essere astratta e piuttosto priva di senso perchè ci si può riferire a situazioni completamente differenti.

Allora ti faccio degli esempi. Al mio "padrone" non gliene frega più di tanto se io passo il tempo alla macchinetta del caffè o meno, purchè io porti all'azienda un certo volume di fatturato. Se questo risultato lo raggiungo lavorando mezz'ora o 14 ore al giorno è un aspetto del tutto secondario.

Non solo, io lavoro in un'azienda in cui il teaming è basilare in quanto i risultati che si ottengono dipendono dalla collaborazione di decine di colleghi. Ti assicuro che si fa più business chiacchierando alla macchinetta del caffè che stando dietro un terminale o impiegando decine di ore di riunioni spesso inutili.

Dopodichè nessuno nega che ci siano i fancazzisti e gente che letteralmente ruba il proprio stipendio. Ma ciò riguarda quanto efficaci sono gli strumenti di valutazione che si adottano. Quello di vedere se e quanto si usa uno strumento piuttosto che un altro lo trovo tra i più rozzi.

Anonimo ha detto...

@Chartitalia.
Il punto è che il licenziamento disciplinare non è legato (solo) alla performance prodotta, ma anche ad un problema di "disciplina" aziendale.
Quel che tu dici sarebbe corretto rispetto ad un obbligo di risultato (ad esempio, l'obbligazione assunta da un professionista), ma non rispetto ad una obbligazione di mezzi, quale quella del lavoratore subordinato (ok, ho letto anch'io Mengoni: risultato / mezzi, tanto per capirsi).
In secondo luogo, potrei essere anch'io d'accordo sul fatto che il sistema di valutazione può essere valutato come rozzo. Ma la famosa insindacabilità dell'organzizzazione aziendale è, giuridicamente, anche insindacabilità dei criteri di valutazione della prestazione lavorativa. Il che, detto in altri termini, significa che il datore di lavoro (padrone, per usare il lemma di cui all'art.2049 c.c.) è liberissimo
a) di usare sistemi rozzi di valutazione della prestazione (il codice non richiede che il padroni siano raffinati) e
b) di valutare disciplinarmente una discontinuità (che tale è il cazzeggio su faccialibro) nella erogazione della prestazione lavorativa.
Questo, secondo il nostro diritto vigente.
Insomma, non condivido quel che dice Doktor sulla mancata valutazione della prestazione.
L'aspetto di coerenza con il c.d. "ordinato svolgimento della vita azienale" è una cosa che rientra di necessità nella valutazione dell'esatto adempimento e ciò per la singolare "plasmabilità" (meglio eterodeterminabilità) della prestazione lavorativa.
Poi possiamo discutere all'infinito se il fatto sia sufficentemente grave da giustificare il licenziamento, ok.
Ma che abbia rilevanza disciplnare, mi parrebbe indiscutibile.

Infine, è vero che ho fatto un discorso astratto. Ma il punto è che quando il diritto è astrarre, astrarre e ancora astrarre.
Non si può fare diversamente.
etienne64

P.s. sono masculo.

Anonimo ha detto...

@Doktor
E perché un provvedimento del Garante della privacy dovrebbe sovvertire il codice civile?
Possiamo discutere all'infinito cosa sia il luogo di lavoro.
Ma è ragionevolmente certo che con il contratto di lavoro subordinato il lavoratore si impegna a UBBIDIRE e ad assoggettarsi alla DISCIPLINA del padrone.
Brutto? Si, decisamente. E' per questo che esistono le garanzie per i lavoratoi. Se il posto di lavoro fosse quel luogo idillico descritto dal Garante, a che servirebbero mai delle guarentigie?
etienne64

herr doktor ha detto...

Etienne,

non ho capito il pro del tuo intervento. Chiedi se è possibile (giusto) licenziare un fannullone? Certo, ma non mi sembra questo il punto.
Il punto mi sembrava essere quello di un licenziamento fondato sul solo fatto dell'uso del social network.
Ci ricordi che il “padrone” può imporre all'interno dell'azienda le regole che vuole e – ahimè – può farlo (o quasi, perchè grazie a Dio, l'azienda non è – o non è ancora – un ordinamento autonomo rispetto a questa vecchia Repubblica del bunga-bunga con le sue leggi arcaiche e buoniste …), ma credo che nemmeno questo sia il punto.
Se leggi la lettera di licenziamento del 'nostro' dipendente della Cassa di assistenza, vedrai che non è così chiaro che il divieto riguardasse tout court l'uso del social network (probabilmente riguardava più che altro l'uso di apparecchiature aziendali per la navigazione personale).
In questo caso la navigazione è avvenuta, ancorchè in orario aziendale, con apparecchiature del tutto personali e il cui 'porto' in ambito aziendale è – di solito - ampiamente consentito.
A questo punto possiamo estendere analogicamente il divieto aziendale anche all'uso del mezzo privato? Non ha senso: in ogni azienda è vietato l'uso del telefono aziendale per fini privati e il dipendente si porta, per evitare ogni grana, il suo cellulare personale con cui riceve ed effettua chiamate personali e talvolta invia SMS. Se poi riceve una telefonata personale sul telefono aziendale non è uno scandalo. Succede dappertutto.
E allora perchè fb dovrebbe essere diverso? Perchè ogni volta che viene coinvolto un computer o internet dobbiamo reinventare il diritto come se il mondo nascesse oggi? In ogni azienda il dipendente mantiene, anche durante l'orario lavorativo un minimo di relazioni interpersonali: offre il caffè al collega, ascolta i suoi problemi, discute di politica (o di sesso) e il lunedì commenta le partite ….. Fa parte della normalità: poi all'autista in servizio puoi (anzi devi) vietare di parlare (ma se nelle pause l'autista fa una telefonata, mentre magari fuma una sigaretta ...non aziendale, non c'è scandalo): in questo caso, però, sia la regola che l'esigenza di servizio sono chiare e incontestabili.
Davvero non sarebbe (in astratto e in un'altra situazione sociale ed economica) possibile ricorrere al giudice di fronte ad un'azienda che in ipotesi vietasse a tutti i dipendenti di fare o ricevere (anche con mezzi personali) chiamate durante l'orario di lavoro anche dove ciò non contrastasse con le effettive esigenze del servizio?
Nel caso in questione, anche al di là della valutazione della gravità della 'violazione' (tra l'altro tanto la rilevanza che il numero dei messaggi contestati non mi sembravano poi così grandi), l'uso di fb mi sembrava più che altro un pretesto.

Anonimo ha detto...

il cui 'porto' in ambito aziendale è – di solito - ampiamente consentito.

Il punto è questo.
E' altamente opinabile che il padrone non possa imporre il divieto di utilizzo di simili apparecchiature durante l'roario di lavoro, assumendo che l'uso di telefonini più o meno smart sia una violazione dell'obbligo di lavororare.

La lettera è pretestuosa, indubbiamente (e da come la riporti, parrebbe che il vero problema fosse, tanto per cambiare, il fatto che il dipendente aveva osato criticare sua maestà il padrone).

Però il problema derivante dal fatto che nel contratto di lavoro subordinto il lavoratore "vende" al padrone un pezzo della sua vita, ivi compresa la facoltà di usare il telefonino, esiste,
etienne64

herr doktor ha detto...

1/2

>il cui 'porto' in ambito aziendale è – di solito - ampiamente consentito.

Che i dipendenti si portino appresso i telefonini personali mi sembra un fatto notorio e non mi risulta che dei divieti espressi siano mai stati emanati.
Per lo meno fino a che un divieto non viene emanato, direi che il 'porto' è da ritenere consentito … vivaddio ...

molte aziende poi consentono espressamente l'uso personale del telefonino aziendale (purchè il dipendente si faccia carico dei costi relativi, per il quale mettono a disposizione tariffe agevolate)

>Il punto è questo.
E' altamente opinabile che il padrone non possa imporre il divieto di utilizzo di simili
>apparecchiature durante l'roario di lavoro, assumendo che l'uso di telefonini più o meno smart sia una violazione dell'obbligo di lavororare.

Mah … in ogni posto di lavoro una pausa caffè è consentita (spesso la macchinetta è fornita dal datore di lavoro), come pure la sigaretta e come pure tante altre 'piccole' cose che però fanno parte della vita di tutti (informarsi della salute di un collega o della sua famiglia, far due chiacchiere di calcio al lunedì, ricevere una telefonata urgente da un parente….), il tutto purchè effettuato in modo da non nuocere alla produzione. Non vedo perchè il telefonino debba essere diverso (anche a prescindere dai casi un cui possa addirittura essersi creato un 'uso aziendale' giuridicamente vincolante)… La tua segretaria, immagino, riceva talvolta telefonate dal marito o dai figli (se ne ha) e non credo che ci sia nulla di male 8purchè poi non lascia 'cadere la penna' allo scoccare dell'ora di fine lavoro..). Il tutto, se correttamente impostato (da entrambe le parti, è ovvio) fa parte di un rapporto di scambio in cui da una parte non si nega un minimo di espressione della personalità (del lavoratore) e dall'altra (atteso che il lavoro non è in contrasto con la personalità) si accetta di metterci oltre che il proprio corpo e la propria obbedienza anche un minimo di partecipazione … In tutti i casi in cui questo rapporto non si crea, si determinano dinamiche quanto meno conflittuali (o di scoglionamento tipo 'ufficio del catasto') e incompatibili – ad esempio – con le dinamiche all'interno delle aziende del terziario avanzato, dove la compartecipazione (e motivazione del lavoratore) sono essenziali. Io personalmente preferisco tollerare un minimo di cazzeggio da parte dei miei collabratori (e magari – talvolta – anche un po' di confronto), piuttosto che gestirmi l'obbedienza bovina e passiva ...


>La lettera è pretestuosa, indubbiamente (e da come la riporti, parrebbe che il vero problema fosse, tanto per cambiare, il fatto che il dipendente aveva osato criticare sua maestà il padrone).

La lettera è disponibile su internet (dovrei anche averla linkata) e mi piacerebbe che tu la leggessi e mi dessi la tua opinione
Personalmente non mi sarei comportato comunque come il licenziato che, secondo me non merita il licenziamente, ma ci ha messo del suo … (anche se vorrei capire meglio le ragioni dell'anomala conflittualità in quel luogo di lavoro ...)

herr doktor ha detto...

2/2

>Però il problema derivante dal fatto che nel contratto di lavoro subordinto il lavoratore "vende" al padrone un pezzo della sua vita, ivi compresa la facoltà di usare il telefonino, esiste,

altolà …. da quest'orecchio non ci sento ;-) Il lavoratore vende energie lavorative, ma (nonostante l'obbligo di fedeltà e le norme del cc che risalgono ancora a Mussolini e alla tradizione autoritaria tanto cara agli italiani di ieri e di oggi), ma non ha un interruttore che dice da qui sono io, in quest'orario sono uno strumento di altri ….(anche perchè i confini diventano sempre più labili ed è l'azienda – in primo luogo - a pretendere che i confini siano superati (a suo vantaggio) E quindi ci vuole un (parziale, almeno) riequilibrio e se non ci pensa la politica (che … quando si sveglia dai fumi dell'ultimo bunga bunga …. ora è probabilmente più a destra che mai …) ben venga l'opinione del garante.

Creative Commons License
I testi di questo blog sono pubblicati sotto una Licenza Creative Commons.