giovedì 3 gennaio 2008

Dove va il diritto d'autore? (II)


Approfitto del periodo di ferie e di alcune recenti notizie per riprendere il tema di un mio precedente post.

La notizia è quella secondo la quale la RIAA (l'Associazione delle case discografiche americane, che è impegnata in una lunga “battaglia legale” contro l'utilizzo illecito della musica, anche con processi a gruppi di utenti in stile “peppermint”) avrebbe iniziato a perseguire legalmente gli utilizzatori che effettuano “copie private” in formato elettronico dei propri dischi.

Sulla base di quanto riportato in un articolo su questo blog, la notizia è parzialmente da correggere.

Sembrerebbe che nei casi che sono stati recentemente portati in giudizio e hanno suscitato lo stupore e l'allarme del pubblico, il fondamento della causa non sia tanto il fatto che siano state copiate in formato elettronico delle registrazioni musicali (CD musicali regolarmente acquistati), quanto il fatto che le copie elettroniche erano state stivate in aree condivise del computer. Fatta questa precisazione, il problema però resta perchè la RIAA sostiene che in ogni caso copiare, anche per fini privati, un supporto musicale è come rubare e che l'eventuale uso privato ha solo l'effetto di ridurre di fatto la pericolosità della condotta che, solo di fatto, non merita di essere perseguita legalmente.

Nella “vecchia Europa” per fortuna le leggi le scriviamo ancora e non le lasciamo tra le righe dei precedenti giurisprudenziali e così una condotta del genere non è un illecito (anche perchè, non dimentichiamolo, paghiamo un “compenso” alla SIAE basata sulla capacità dei supporti di memorizzazione elettronici e ottici proprio per “pagarci” il diritto alla copia privata). Lasciamo poi stare le puntigliose (e numerose) eccezioni di cui soffre la norma (articoli 71 – sexies e seguenti della legge 633/941) e “godiamoci” la norma – e la musica – così com'è.


Certamente l'atteggiamento della RIAA comincia a diventare preoccupante. Sul serio, come comincia a diventare preoccupante l'invasività delle campagne condotte anche verso i singoli utenti dalle società discografiche. Vi ricordate il caso Peppermint?

Non è il caso di cominciare a pensare alle regole e non solo a trovare ostacoli (più o meno legati alla privacy) alle azioni legali, ormai sempre più vicine a noi, delle società discografiche?

Nel frattempo, chi sa bene l'inglese e ha voglia di una lettura interessante sull'insostenibilità dell'attuale modello di business delle majors rappresentate da RIAA, si legge il seguente articolo, già segnalato dall'ottimo Chartitalia.


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