Il cacciatore di aquiloni
Le poche notizie che ho mai avuto dell'Afganistan sono state quelle trasmesse dai telegiornali a partire dall'invasione sovietica della fine degli anni '70.
Le poche letture: un libro di Ken Follet (“Un un letto di leoni”, non uno dei suoi migliori), ambientato al tempo dell'invasione sovietica, e un racconto di Kipling (idem come sopra ... non ne ricordo neanche il nome), ambientato al tempo di un più risalente, ma parimenti fallito, tentativo di occupazione inglese.
Un paese difficile, inaccessibile, che fa parlare di sé solo quando sconfigge le armate lanciate alla sua conquista.
Il libro di Kaled Hosseini è la storia di due bambini, ambientata a cavallo dell'invasione sovietica.
E' una storia in certo modo semplice: i due bambini nascono agli estremi opposti della scala sociale in un paese aspro e arretrato, ma sono inseparabili fino a che uno dei due (quello ricco) tradisce l'altro e, dopo poco, ha l'opportunità di lasciare il paese invaso dai sovietici e tiraneggiato dai loro alleati locali.
La vita dell'emigrato – ripartendo a sua volta al fondo della scala sociale - non è facile, ma dopo anni di amarezza e sopportazioni il protagonsta riesce a conquistarsi una certa agiatezza. Il nostro emigrato non riesce però a godersi il dolce frutto di un 'sogno americano' che si avvera, perchè viene chiamato da un parente (e dai suoi rimorsi) in Afganistan a cercare il figlio del suo amico tradito e nel frattempo ucciso dai miliziani.
L'ultima parte del libro è una vera e propria discesa negli inferi di un paese ormai completamente disgregato, un “terra di Mordor” dove le bande dei Talebani dilaniano e profanano ogni istituzione, ogni luogo, ogni persona ....
Lo stile è asciutto, evocativo, sempre venato di una certa nostalgia e tristezza e il libro, le storie e le immagini non si dimenticano facimente, anche per i brevi squarci di un paese che non c'è più.
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