sabato 1 marzo 2008

Akzo e dintorni ....

La "sentenza Akzo" è una sentenza della Corte europea di prima istanza del 17 settembre 2007 (causa Akzo Nobel Chemicals Limited and Akros Chemicals Limited contro la Commissione delle Comunità Europee) che ha negato che l'avvocato dipendente di una società possa, alla pari di un suo collega libero professionista, opporre il segreto professionale in un'inchiesta con riferimento alla pratiche trattate per conto della società che rappresenta.

In Italia la sentenza ha provocato poco dibattito, ma - in effetti - da noi l'avvocato dipendente, formalmente, non esiste o è relegato ai pochi uffici pubblici che hanno ancora un ufficio legale interno.

In altri paesi dove, come il Regno Unito, la figura dell'avvocato-dipendente è del tutto normale, la pronuncia ha suscitato qualche maggiore discussione.

La Corte Europea, sul punto, ha confermato un precedente orientamento secondo il quale - in estrema sintesi - la "riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti, si applicava soltanto a condizione che tali avvocati fossero indipendenti, vale a dire non legati al proprio cliente da un rapporto di lavoro dipendente .... Ne consegue che la Corte ha espressamente escluso le comunicazioni con i giuristi d’impresa, vale a dire i consulenti legati ai loro clienti da un rapporto di lavoro dipendente, dalla tutela del principio di riservatezza".

La pronuncia contiene, poi, altri interessanti principi, come quelli secondo i quali:

  1. la riservatezza professionale (in questa problematica si fa spesso riferimento all' espressione inglese di: "legal privilege") "è volta, in primo luogo, a garantire l’interesse pubblico ad una buona amministrazione della giustizia consistente nell’assicurare che ogni cliente abbia la libertà di rivolgersi al proprio avvocato senza temere che le confidenze eventualmente comunicate possano essere ulteriormente divulgate";
  2. in tale ottica (punti 122 e 123 della sentenza) ".... affinché il singolo possa avere la possibilità di rivolgersi utilmente e con piena libertà al proprio avvocato e perché quest’ultimo possa esercitare efficacemente il proprio ruolo di collaboratore dell’amministrazione della giustizia e di assistenza giuridica ai fini del pieno esercizio dei diritti della difesa, può rivelarsi necessario, in talune circostanze, che il cliente prepari documenti di lavoro o di sintesi, in particolare allo scopo di riunire informazioni che saranno utili, se non indispensabili, a tale avvocato per comprendere il contesto, la natura e la portata dei fatti a proposito dei quali viene richiesta la sua assistenza. ...... Pertanto, si deve concludere che i suddetti documenti preparatori, anche se non sono stati scambiati con un avvocato o non sono stati predisposti per essere materialmente trasmessi ad un avvocato, possono comunque beneficiare della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti, dato che sono stati elaborati esclusivamente al fine di chiedere un parere giuridico ad un avvocato, nell’ambito dell’esercizio dei diritti della difesa. Invece, il semplice fatto che un documento sia stato l’oggetto di discussioni con un avvocato non sarebbe sufficiente a conferirgli tale tutela";
  3. sotto il profilo dell'indipendenza richiesta per beneficiare del "legal privilege" la Corte aggiunge che "la Corte, nella sua sentenza AM & S, ha definito negativamente il concetto di avvocato indipendente in quanto essa ha richiesto che detto avvocato non sia vincolato al suo cliente da un rapporto di lavoro dipendente (v. supra, punto 166),...... La Corte sancisce, pertanto, il criterio di un’assistenza legale fornita «in piena indipendenza» (sentenza AM & S, punto 24), da essa identificata con quella fornita da un avvocato che sia, strutturalmente, gerarchicamente e funzionalmente, terzo rispetto all’impresa che beneficia di detta assistenza"

Il concetto di indipendenza come discrimine tra dipendente (sia pure con mansioni legali) e avvocato "a tutti gli effetti" (ossia iscritto all'albo e abilitato ad assumere difese in giudizio) è noto e applicato anche in Italia, posto che - nonostante la legge consenta agli enti pubblici di iscrivere i propri dipendenti muniti di abilitazione all'albo degli avvocati (sia pure nella sola sezione ad essi riservata) - la prassi dei consigli dell'ordine, prima, e la giurisprudenza ordinaria, poi, ha limitato tale facoltà a quei dipendenti inseriti in strutture (interne) gerarchicamente e funzionalmente indipendenti ...

Giudicato con il metro di tale giurisprudenza, il malcapitato avvocato olandese della causa Akzo avrebbe potuto essere riconosciuto "indipendente"? E' una domanda provocatoria. Nessuno può saperlo, ma certo è che già il semplice rapporto di lavoro dipendente con la società oggetto di indagine giocava contro di lui.

E' un'argomento difficile e probabilmente non ancora del tutto maturo, non essendo stato risolto - a livello legislativo - il dilemma che si intravede sullo sfondo della controversia: un avvocato può essere un dipendente ed essere ancora considerato un avvocato?

Eppure di avvocati dipendenti ce ne è migliaia, anche limitandosi agli iscritti agli ordini e anche in Italia.

Lasciamo stare i dipendenti pubblici iscritti ad "albo speciale", ma che dire degli "avvocati collaboratori" o - ancora di più - dei dipendenti dei grandi studi legali internazionali (gli "studi illegali di Duchesne ;-)), che lavorano principalmente (avvocati "collaboratori") od esclusivamente (grandi studi) per il proprio "dominus" (che, ... non a caso, in latino vuol dire "padrone") o per il proprio studio, per i quali "staccano" dodici fatture uguali (lo "stipendio") più uno variabile (il bonus)? Lasciamo stare la questione del "legal privilege", che - ripeto - non è matura, ma davvero questi avvocati sono più indipendenti dei dipendenti addetti ad un ufficio legale per il solo fatto di essere liberi professionisti e non avere un rapporto di lavoro dipendente (e le correlative tutele dello "statuto dei lavoratori")? Pensateci bene.....






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