lunedì 24 marzo 2008

Tutto il mondo è paese? Salari, produttività e prezzi

Leggo oggi su Washington post un articolo che mi fa riflettere. Non perché dice cose nuove, ma perché parla di cose ovvie, tanto ovvie che sono vere sia qui che oltreoceano.

Il tema dell'articolo è che i lavoratori americani, nonostante l'aumento di produttività, stanno subendo una diminuzione del potere d'acquisto dovuto all'aumento notevole dei costi della sanità.

Già, perché il costo della sanità è tanto aumentato da pesare sul costo del lavoro per più del 30% con l'effetto di ridurre i soldi disponibili per gli stipendi netti, sia a seguito dell'aumento della parte a carico del datore di lavoro nei piani di assistenza privati inseriti nei contratti di lavoro sia per l'aumento dei contributi stessi a carico dei lavoratori.

Lasciamo stare osservazioni sul fatto che una sanità in larga parte privata non sembri preservare da aumenti di costi (anzi) e sulla notizia che, per migliorare la capacità dei lavoratori di spuntare condizioni migliori dalle assicurazioni private tramite la contrattazione collettiva, i vari candidati alla presidenza spingano per una maggior sindacalizzazione delle imprese (in netta controtendenza con le spinte nostrane ...).

Il fatto è che da noi, dopo anni di idillio in cui l'Istat ci diceva che gli stipendi correvano più dell'inflazione e il sole 24 ore e il corriere della sera ci dicevano che era necessario ridurre (“moderare”) gli stipendi in linea con altri paesi per aumentare la competitività, ci accorgiamo di avere gli stipendi più bassi d'Europa (senza avere aumentato la competitività, che dipende anche da fattori organizzativi e tecnologici in larga parte ignorati) con , tra l'altro, l'effetto di una più limitata capacità di assorbimento del nostro “mercato interno”, il primo mercato delle imprese italiane......

Ora la ricetta per la soluzione della situazione interna, al limite per famiglie che guadagnino 1500/2000 euro al mese, ossia la grande maggioranza dei salariati, è quella di legare gli aumenti all'aumento della produttività.

Ben venga l'aumento della produttività, ma la produttività dipende (vedi sopra ) da fattori diversi e non tutti legati alla prestazione del singolo (che comunque deve fare la sua parte, ci mancherebbe altro).

Sorvoliamo anche su quanto acutamente osserva dalle8alle5 (che comunque vi invito a leggere), ma dal punto di vista delle famiglie la battaglia è persa in partenza (America docet) se non si riescono a mettere sotto controllo una serie di costi essenziali, come quelli legati – appunto - alla sanità, agli alimentari, alle case ... etc.

Intendiamoci: la sfida della produttività ci riguarda tutti e va perseguita, ma non pigliamoci per il .....


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando si parla di stipendi la retorica gira a gogo.
In realtà, il problema è forse più semplice: gli imprenditori sognano di trasformare gli stipendi da costi fissi a costi variabili; i dipendenti sognano aumenti totalmente a prescindere dalla utilità generata dal loro lavoro.
La questione di aumentare la "quota" di stipendio variabile è semplicemente la risposta delle imprese di fronte alla pressione per aumentare i salari: Ok, ve li aumentiamo, ma in cambio ci date un qualcosa di flessibilità salariale in più. Se le cose dovessero andar male, la paga può scendere.
Il tutto chiedendo, more italico, allo Stato di metterci un po' di soldini in termini di minori entrare tributarie.
Nel complesso non me la sento, però, di dire che sia un compromesso schifoso. Data una retribuzione base fissa (altrimenti uno non è un dipendente) ingrassare i premi di produzione e cioé dare un filo di flessibilità salariale può essere un sistema per evitare di trovarsi a far scelte imbarazzanti (licenziamenti collettivi e/o delocalizzazioni).
Ovviamente, le questioni moralistiche sui fanulloni c'entrano ben poco.
etienne64

herr doktor ha detto...

>Quando si parla di stipendi la retorica gira a gogo.

ne convengo, ma prima ancora è un problema di essere chiari innanzitutto sui punti di partenza

In Italia gli stipendi son più bassi anche più del 30% rispetto ad altri paesi europei con i quali ci piacerebbe confrontarci. I media hanno subito puntato l'attenzione (dell'opinione pubblica) sul livello delle tasse, ma – ragionevolmente – non è quello il problema. La differenza riguarda anche il il lordo e le nostre tasse sono allineate a quelle dei principali paesi europei (come pure il costo della vita, o quanto meno – e posso dirlo per esperienza diretta, visto che le vacanze da anni le faccio i francia o in europa del nord – sono uguali o forse lievemente più bassi i costi dei prodotti dei supermercati ....). P.S. faccio le vacanze in Francia perchè anche la costa azzurra costa meno e dà più servizi della liguria ........

Questo differenziale è colpa di una minor qualità della forza lavoro italiana? Non direi. Nel contempo è un problema, se non altro in termini di minor capacità di assorbiento del mercato interno italiano (il primo mercato delle nostre imprese ...) e perchè lascia alle famiglie meno reddito da dedicare al 'voluttuario' (che poi è ilmercato a maggior valore aggiunto) ma anche all' istruzione (compresi i viaggi: io sono un fortunato, ma quest'anno riduco da 3 a 2 le settimane di vacanza ...)

Questo è il punto di partenza del mio post, oltre al problema dell'aumento esponenziale dei costi della sanità (che è un problema vitale per una popolazione che invecchia proprio perchè ci sono poche risorse per i figli ...

Quello a cui tu accenni è forse la prosecuzione di una discussione su un tuo post,
http://etienne64.splinder.com/post/15551622
assolutamente da leggere. Peccato che la discussione che è seguita (non con te, purtroppo) si sia arenata su presupposti ideologici non dissimili da quelli che tu riproponi. Ma il tema è interessante e da riprendere assolutamente.

>In realtà, il problema è forse più semplice:
>gli imprenditori sognano di trasformare gli stipendi
>da costi fissi a costi variabili; i dipendenti sognano
>aumenti totalmente a prescindere dalla utilità generata
>dal loro lavoro.

Il problema è ancora più semplice: gli imprenditori hanno interesse a pagare meno, i dipendenti quello opposto ... ;-)

Poi, riuscire anche a rendere variabile il costo del lavoro sarebbe il “delitto perfetto”: peccato che il lavoratore sia un fattore produttivo “antieconomico” perchè ha a sua volta costi fissi (alimentari, alloggio, istruzione dei figli , sanità) poco o nulla comprimibili. Per carità, molta gente – visto che l'affitto/mutuo non cala, gli alimentari aumentano, così come energia e tariffe pubbliche, rinvia sine die cure mediche, specie dentarie od oculistiche, il rinnovo di elettrodomestici, impianti di casa, veicoli,..... o spese di istruzione ..., ma ciò ha o potrebbe avere a lungo 'side effects' non molto desiderabili ... quando poi non si indebita, con significativi problemi anche di sistema finanziario (vedi “mutui subprime”, ma in generale la qualità del credito che si abbassa) ....

>La questione di aumentare la "quota" di stipendio variabile
>è semplicemente la risposta delle imprese di fronte alla pressione
>per aumentare i salari: Ok, ve li aumentiamo, ma in cambio
>ci date un qualcosa di flessibilità salariale in più.
>Se le cose dovessero andar male, la paga può scendere.

Non ho capito se si tratterebbe di parametrare a risultati indiviuali o collettivi. Credo la seconda, ma, in sostanza il lavoratore diventerebbe socio, una specie di socio d'opera.
Ma sappiamo bene che sarebbe un socio con nessun potere di controllo nei confronti del datore di lavoro-socio e secondo me – sopratutto per i dipendenti di piccole/piccolissime imprese (temo la maggioranza) sarebbe una vera presa per i culo (scusa l'espressione) parametrare lo stipendio alla contabilità dell'impenditore (a quella 'vera' o a quella 'ufficiale'?) sul quale è la quota di “nero” che fa di regola la differenza ...... Vedi il post di dalle8alle5 che avevo citato.
Se si volesse pensare davvero di introdurre un principio del genere, bisognerebbe pensare ad introdurre forme di partecipazione del lavoratore nella gestione o quanto meno nel controllo del'impresa (istituti noti in francia e germania, ma tabù in Italia ....)

A parte poi che pensare di ridurre anche gli stipendi sotto i 1000 euro, con i costi attuali ....

>Il tutto chiedendo, more italico, allo Stato di metterci un
>po' di soldini in termini di minori entrare tributarie.

beh, questa è un'altra idiozia italiana: trasferendo risorse dallo stato alle imprese (la logica degli ultimi 15 anni) l'economia non è migliorata, anzi, ma si persevera .......Anche questo è un tema da approfondire

>Nel complesso non me la sento, però, di dire che sia un compromesso schifoso.
>Data una retribuzione base fissa (altrimenti uno non è un dipendente)
>ingrassare i premi di produzione e cioé dare un filo di flessibilità salariale
>può essere un sistema per evitare di trovarsi a far
>scelte imbarazzanti (licenziamenti collettivi e/o delocalizzazioni).

chiariamoci bene: le imprese delocalizzano e licenziano (vedi le recenti delocalizzazioni di Vodafone italia, e le ultime tornate di prepensionamenti di dipendenti bancari “in esubero” che sono state portate a termine anche con licenziamenti collettivi) indipendenemente dal livello di utili e giuridicamente non credo che nulla mi impedisca di “ristrutturare” anche con un bilancio in forte utile ....
In ogni caso il problema della “delocalizzazione” e “terzarizzazione” non riguarda, ad es. il settore del commercio, come (per la lora “delocalizzazione”) molti settori dei servizi (bancari, assicurativi in primis) che pure hanno visto consistenti compressioni del “costo del lavoro” ...

>Ovviamente, le questioni moralistiche sui fanulloni c'entrano ben poco.

certo :-)

a presto!

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